Mio, tuo o nostro? Uno studio sulla condivisione dei dati scientifici in Genetica Umana - Introduzione - pag 1/10


    Autori: Nicola Milia1,3, Alessandra Congiu1,3, Paolo Anagnostou1,2, Francesco Montinaro2, Marco Capocasa2, Emanuele Sanna3 e Giovanni Destro Bisol1,2*

    1) Università di Roma ‘La Sapienza’, Dipartimento di Biologia Ambientale, Roma Italy (2)Istituto Italiano di Antropologia, Roma, Italy (3)Università di Cagliari, Dipartimento di Biologia Sperimentale, Cagliari, Italy *destrobisol AT uniroma1 dot it

    Abstract

    La condivisione dei dati scientifici è attualmente considerata una priorità per la ricerca sia in biologia sia in biomedicina. Una valutazione empirica della reale condivisione dei dati può essere considerata come un passo indispensabile, sia per individuare le criticità, sia per sviluppare strategie che consentano di aumentare la disponibilità dei dati per l’intera comunità scientifica. Tuttavia, ad oggi, nessuna analisi specifica è stata condotta per verificare quanto i dati siano effettivamente condivisi in genetica umana. A questo scopo abbiamo analizzato 543 pubblicazioni riguardanti la variabilità nelle popolazioni umane di polimorfismi del Dna mitocondriale e del cromosoma Y, indicizzati nel database Pubmed a partire dal 2008 al 2011.

    Abbiamo potuto osservare che una parte sostanziale dei dataset (21,9%) non è condivisa, mentre né l’applicazione di politiche editoriali esplicite né un elevato impact factor si sono dimostrati efficaci per aumentare il tasso di condivisione oltre l’80,5%.

    Disaggregando il set dei dati in base al campo di ricerca delle pubblicazioni, abbiamo potuto osservare una minore propensione in genetica medica alla condivisione nel campo sia della medicina evolutiva sia della genetica forense, soprattutto per le sequenze intere di DNA mitocondriale (15,0% vs 99,6%). Il basso numero di risposte positive ricevute alle richieste tramite e-mail inviate agli autori delle pubblicazioni in cui i dati sono risultati “trattenuti” (28,6%), suggerisce che la condivisione dovrebbe essere considerata come uno dei presupposti vincolanti per l'accettazione finale della pubblicazione da parte delle riviste scientifiche.

    Infine, abbiamo stimato che una porzione consistente delle risorse totali (tra il 29,8% e il 32,9%) sono state utilizzate per generare dataset non condivisi, a indicare che una parte cospicua del finanziamento alla ricerca non produce conoscenza condivisa. Rendendo la comunità scientifica e il pubblico consapevoli di questo importante aspetto, si può aiutare a diffondere una più efficace cultura della condivisione dei risultati della ricerca scientifica.

    Nella comunità scientifica vi è ormai un ampio consenso circa l’importanza della condivisione dei dati per il progresso delle conoscenze [1], [2]. Dal punto di vista storico, il sociologo americano Robert King Merton può essere considerato come un antesignano, grazie al suo saggio del 1942 "The Normative Structure of Science".

    In questo saggio Merton ha formalizzato i principi etici della proprietà comune delle scoperte scientifiche (comunalismo) e del controllo degli errori e di eventuali incongruenze a cui tutte le forme di conoscenza dovrebbero essere sottoposte (scetticismo organizzato) [3].

    Un’analisi della più recente letteratura scientifica mostra che la questione della condivisione dei dati non è stata ignorata nell’ultimo mezzo secolo[4], [5].

    Tuttavia, è solo negli ultimi due decenni che il “data sharing” ha assunto una riconosciuta importanza per la ricerca biologica e biomedica [6], [7], a causa del rapido aumento della produzione di dati dovuta alla diffusione di nuove e più efficienti tecnologie.

    Di conseguenza, sono state messe in atto diverse iniziative e strategie per incoraggiare i ricercatori a condividere i propri risultati, come l'organizzazione di riunioni ad hoc, lo sviluppo di politiche esplicite da parte di alcune riviste scientifiche e organismi di finanziamento [8], [9]. Inoltre sono state istituite banche dati on-line che permettono l’archiviazione, in modo da fornire infrastrutture permanenti per la diffusione dei dati [10], [11].

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