Le basi epigenetiche della Malattia di Alzheimer - Modello sperimentale - page 2


    Ipotesi di lavoro e modello sperimentale

    Sulla base di queste evidenze scientifiche, ci siamo chiesti se l’effetto dell’iperomocisteinemia potesse essere quello di far diminuire la metilazione di specifici geni coinvolti nell’insorgenza del LOAD.

    Per verificare questa ipotesi, abbiamo messo a punto un sistema sperimentale, usando prima cellule neuronali in coltura e poi topi transgenici, in cui causavamo una deficienza di folato, B12 e B6; come conseguenza, trovavamo un aumento dei livelli di omocisteina e una diminuzione delle reazioni di metilazione.

    Un’altra complicazione nello studio del LOAD è la mancanza di modelli sperimentali adeguati a causa della natura altamente multifattoriale della patologia.

    Al momento, l’unica possibilità è rappresentata dall’uso di modelli animali (topi) transgenici che portano mutazioni caratteristiche delle forme di AD familiare e perciò riproducono alcune delle caratteristiche molecolari e anatomo-patologiche della malattia, rendendo possibile la loro misurazione in diverse condizioni sperimentali.

    Infatti, benché anche i topi normali producano, ad esempio, proteina amiloide (così come gli esseri umani) che ha un ruolo nella normale fisiologia del cervello, data la breve vita di questi animali, non si osserva deposizione patologica di placche senili.

    I topi che abbiamo usato nel nostro lavoro (e che ci sono stati gentilmente donati da un collega dell’Università di Toronto) portano il gene umano che codifica per la proteina precursore dell’amiloide (APP) recante due mutazioni caratteristiche delle forme familiari (mutazioni “swedish” e “indiana”) e mostrano per questo la deposizione di placche senili di proteina amiloide a partire dai due-tre mesi di età.

    Abbiamo studiato vari geni coinvolti nella patologia di Alzheimer e abbiamo trovato che uno di questi risultava demetilato in condizioni di deficienza di vitamine B con conseguente aumento della sua espressione. Questo gene (Presenilina1) è uno dei responsabili del taglio dell’APP per formare la proteina amiloide, che veniva quindi prodotta in quantità ancora maggiori nei nostri topi anticipando e aggravando la condizione patologica (Fuso et al., 2005; Fuso et al., 2011).

    Efficacia del trattamento con S-adenosilmetionina

    I risultati ottenuti ci hanno permesso di determinare l’esistenza di un collegamento di tipo causa-effetto fra l’aumento dei livelli di omocisteina indotti da deficienza vitaminica ed i meccanismi patogenetici dell’AD così riassumibile: deficienza di vitamine B -> iperomocisteinemia -> inibizione delle reazioni di metilazione -> demetilazione del gene Presenilina1 -> aumento della produzione di proteina amiloide.

    A questo punto ci siamo domandati se fosse possibile inibire la demetilazione del gene Presenilina1 nei topi, diminuendo quindi la produzione di proteina amiloide. Dal momento che la SAM, che è il principale donatore di gruppi metilici, era già usata da decenni in medicina come blando antidepressivo, abbiamo deciso di utilizzare direttamente questa molecola endogena somministrandola agli animali per via orale. Dopo lo svezzamento, topi transgenici e di controllo sono stati trattati con diversi dosaggi di SAM.

    Oltre ad un dosaggio (400 μg/die) paragonabile a quello usato normalmente nel trattamento della depressione nell’uomo (400 mg/die) sono stati testati anche un dosaggio superiore ed uno inferiore, per determinare quello più efficace.

    Si è visto che il dosaggio intermedio presentava un effetto maggiore rispetto al più basso ma paragonabile a quello più alto; pertanto è su questo dosaggio che ci siamo concentrati per la maggior parte delle determinazioni biochimiche e biomolecolari.

    Dopo un trattamento di 1 o 2 mesi, sono stati analizzati diversi parametri: la concentrazione di HCY, SAM e SAH nel sangue e la concentrazione di SAM e SAH nel cervello; l’attività delle DNA metiltransferasi nel cervello; lo stato di metilazione del gene Presenilina1, i livelli del suo RNA messaggero e della proteina; la sintesi di proteina amiloide e il suo accumulo nelle placche senili; i livelli di fosforilazione della proteina tau; infine, è stato eseguito un esperimento di analisi comportamentale sui topi per determinare gli effetti della deficienza vitaminica e della somministrazione di SAM sulle capacità cognitive degli animali.

    I risultati ottenuti hanno dimostrato che la somministrazione di SAM è in grado di contrastare tutti gli effetti negativi correlati all’aumento di omocisteina indotto dalla carenza di vitamine del gruppo B, ristabilendo il normale metabolismo della metilazione e la normale espressione di Presenilina1, riducendo il numero di placche senili e migliorando la performance cognitiva degli animali (Fuso et al., 2012).

    Inaspettatamente, il risultato è stato anche più soddisfacente del previsto perché non solo la SAM si è dimostrata in grado di diminuire le placche senili nei topi trattati con carenza di vitamine B, ma anche nei topi sottoposti ad una dieta normale (figura 2A,B,C).

    Fig.2AIl modello murino transgenico della malattia di Alzheimer
    Fig.2BGli stessi topi sottoposti a dieta carente di vitamine gruppo B
    Fig.2CSomministrazione di S-adenosilmetionina ai topi

    Fig.2A Il modello murino transgenico della malattia di Alzheimer utilizzato negli esperimenti è caratterizzato dalla produzione di proteina beta-amiloide (AΒ) che forma le cosiddette "placche senili", tipiche della malattia, nel cervello.

    Fig.2B Gli stessi topi sottoposti ad una dieta carente di vitamine del gruppo B (Folato, B6 e B12) mostrano un peggioramento della patologia e l'aumento delle placche. Il meccanismo è mediato dalla demetilazione del DNA di un gene coinvolto nella produzione di AΒ (PSEN1) e dalla sua maggiore espressione.

    Fig.2C Somministrando S-adenosilmetionina ai topi, sia in condizioni normali che in carenza vitaminica, si osserva il ripristino della metilazione, l'inibizione dell'espressione del gene e la diminuzione delle placche.

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