Ecco cosa dovremmo fare per bloccare l'inquinamento da plastica degli oceani


    Anche se la consapevolezza sull'inquinamento da plastica sta crescendo purtroppo si sta facendo ben poco per risolvere il problema. Andando avanti di questo passo, entro il 2050, alcuni esperti prevedono che gli oceani del mondo conterranno più plastica che pesci.

    Un rapporto delle Nazioni Unite, commissionato dal G20, ha analizzato in maniera dettagliata tutto ciò che il mondo dovrebbe fare per impedire che ciò che hanno previsto alcuni ricercatori diventi la nostra realtà in un futuro non molto lontano. Non stiamo facendo abbastanza per evitare che tale scenario si concretizzi realmente.

    Spiaggia ricoperta di rifiuti plastici, Accra, Ghana - By Muntaka Chasant - Own work, CC BY-SA 4.0Immagine - Spiaggia ricoperta di rifiuti plastici - By Muntaka Chasant - Own work, CC BY-SA 4.0

    Attualmente circa 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei nostri oceani ogni anno. Secondo un modello del 2020 di SYSTEMIQ e The Pew Trusts entro il 2040 la quantità di rifiuti di plastica che riempirà i nostri oceani potrebbe quasi triplicare, i ricercatori hanno infatti previsto che la quantità di plastica riversata negli oceani arriverà a toccare circa 29 milioni di tonnellate.

    Nel frattempo, le promesse da parte delle aziende e le politiche dei governi ridurranno i rifiuti di plastica nell'ambiente marino solo del 7%.

    Tale valore non è affatto vicino al valore che sarà necessario ottenere per raggiungere gli obiettivi della Osaka Blu Ocean Vision del G20, iniziativa che cerca di impedire l'aumento dell'inquinamento da plastica negli oceani entro il 2050.

     

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    Per arrivarci, i ricercatori dell'ONU sostengono che il mondo ha bisogno di un "cambiamento radicale nell'economia della plastica". Abbiamo bisogno che l'industria delle materie plastiche passi da un "sistema lineare e dispendioso" a uno circolare e rinnovabile, in pochi decenni.

    Secondo il rapporto delle Nazioni Unite si tratta di un obiettivo nobile ed è l'unico modo per raggiungere gli obiettivi della Osaka Blu Ocean Vision. Se i rappresentanti del G20 hanno veramente a cuore il rispetto degli impegni allora le nazioni leader dovranno fare dell'inquinamento da plastica la più grande delle priorità del prossimo futuro.

    Il rapporto ONU dipende in gran parte da un modello pubblicato nel 2020. I risultati dimostrano che se il mondo decidesse di intraprendere un'azione ambiziosa e urgente sull'inquinamento da plastica potremmo essere in grado di ridurre i rifiuti plastici, destinati a essere riversati nei nostri oceani, dell'82% nel 2040 utilizzando le attuali tecnologie e metodologie.

    Per ottenere tutto questo le nazioni di tutto il mondo dovranno agire all'unisono, cosa che finora non è avvenuta. Probabilmente siamo già in grado di capire il percorso migliore per arrivarci, questo potrebbe consentirci di creare una tabella di marcia da seguire per tutti i Paesi.

    «È tempo di arrestare cambiamenti isolati in cui ci sono nazioni che fanno cose casuali che a prima vista sembranno avere un impatto positivo ma che in realtà non fanno alcuna differenza», scrive il dott. Steve Fletcher dell'Università di Portsmouth. 

    «Le intenzioni sono buone ma bisogna riconoscere che cambiare una parte del sistema in isolamento non cambierà magicamente tutto il resto».

    Il riciclo, considerato come attività isolata, non sarà sufficiente. Il modello del 2020 ha mostrato che almeno mezzo milione di persone dovrà rapportarsi ogni giorno con i servizi di raccolta dei rifiuti affinché tale strategia funzioni in maniera efficace. 

    Secondo quanto riportato nel rapporto ONU «È improbabile che tale strategia funzioni, ridurre la quantità di plastica immessa nel sistema dovrebbe essere pertanto una priorità assoluta per i decisori politici. I sistemi di gestione dei rifiuti non possono infatti scalare abbastanza rapidamente.»

    «In molte circostanze l'uso della plastica può essere ridotto, ridotto al minimo o evitato del tutto attraverso modifiche intenzionali apportate nella fase di progettazione di un prodotto».

     

    Gli imballaggi a livello globale, sottolineano gli autori del rapporto, rappresentano un valore economico stimato tra gli 80 e i 120 miliardi di dollari all'anno tuttavia, il 95% di quel denaro viene perso come rifiuto di plastica.

    Non solo la modifica a livello di progettazione degli oggetti potrebbe far risparmiare molto denaro alle aziende, ma ci sarebbero anche vantaggi economici derivanti dallo sviluppo di nuovi prodotti basati più sui materiali rinnovabili e meno sulla plastica (derivata dal petrolio).

    Saranno inoltre necessari sforzi di bonifica degli oceani per raccogliere almeno una parte di ciò che abbiamo già gettato via, tra cui l'enorme "isola" di immondizia nell'oceano Pacifico e altri accumuli simili di plastica.

    Prevenire ulteriori immissioni di plastica nell'ambiente dovrebbe essere la nostra priorità numero uno, scrivono i ricercatori autori del rapporto ONU. Ripulire gli oceani dalla plastica presenta molte sfide, richiede tecnologie avanzate e costa un mucchio di soldi.

     

    Pertanto, la pulizia degli oceani dovrebbe essere considerata solo un "utile sforzo di transizione" sulla strada verso un'economia circolare della plastica. Altrimenti, continueremo ad avere sempre più spazzatura da non sapere più dove metterla.

    In un periodo in cui si parla di ripresa economica globale, in cui cioè i pacchetti finanziari anti COVID-19 per stimolare l'economia sembrerebbero enfatizzare una crescita ecologica come mai prima d'ora, il mondo ha l'opportunità di affrontare l'economia della plastica in maniera molto più incisiva rispetto al passato.

    Speriamo che questi pacchetti di stimolo per la ripresa economica includano misure per ridurre la plastica marina e creare settori più sostenibili in tutte le nazioni, in questo modo potremmo semplicemente realizzare gli obiettivi della Osaka Blu Ocean Vision del G20.

    Riferimenti

    Il rapporto dell'International resource panel delle Nazioni Unite è disponibile qui