Nella nostra società esiste un'idea pervasiva che rappresenta la natura come un qualcosa che si trova al di fuori di noi, qualcosa altro da noi, da ciò che siamo come esseri umani.
Sin dall'antichità gli esseri umani hanno, in un modo o nell'altro, provato sempre a plasmare e a dominare l'ambiente sul nostro pianeta. Questa idea la possiamo ritrovare trasposta anche nella letteratura futuristica che fa della natura il nostro passato e l'ingegno e la tecnologia umana il nostro futuro, la narrazione cioé che gli esseri umani sono al di là della natura (o addirittura superiori) è purtroppo profondamente radicata.
Questa separazione, questo altro dalla natura, ha probabilmente permesso la nostra distruzione dilagante delle altre specie viventi, e ha persino portato alcuni a sostenere che la nostra natura umana sia incompatibile con la natura stessa.
Ora un enorme studio internazionale che coinvolge geografia, archeologia, ecologia e conservazione delle specie si aggiunge agli studi scientifici già condotti che mostrano come sia falsa tale idea.
I ricercatori hanno scoperto che, per la maggior parte della sua storia, l'umanità ha vissuto in equilibrio con il nostro mondo, nonostante come esseri umani siamo stati in gradi di alterare la maggior parte della superficie terrestre molto prima di quanto pensassimo.
Immagine - Antico portale presso Angkor, Cambogia. Credits: University of Maryland Baltimore County, USA.
«Le società hanno usato i loro paesaggi in modi che hanno reso possibile sostenere la maggior parte della loro biodiversità nativa e hanno persino aumentato la loro biodiversità, produttività e resilienza», scrive il dott. Erle Ellis Prof. di geografia e ricercatore dei sistemi ambientali presso l'Università del Maryland, USA.
Analizzando le ricostruzioni dell'uso storico del suolo a livello globale da parte degli esseri umani e confrontando tali dati con i modelli globali di biodiversità, i ricercatori hanno scoperto che nel 10000 a.C. gli esseri umani avevano trasformato quasi i tre quarti della superficie terrestre, i ricercatori hanno reso disponibile una mappa interattiva dei loro risultati.
Tali risultati sconvolgono i modelli precedenti, infatti era opinione diffusa tra i ricercatori che la maggior parte delle terre era rimasta disabitata fino al 1500 d.C.
«Le terre attualmente caratterizzate come "naturali", "intatte" e "selvagge" mostrano generalmente lunghe storie di trasformazione da parte degli esseri umani», scrive James Watson professore in scienze della conservazione presso l'Università del Queensland, Australia.
«Anche 12.000 anni fa, la maggior parte della terra era stata modellata dagli esseri umani, tra cui oltre il 95% delle terre nelle zone temperate e il 90% delle foreste tropicali».
Il modellamento descrive i cambiamenti a livello di sistema che hanno conseguenze ecologiche in cascata, inclusi gli esiti nefasti come ad es. l'estinzione della megafauna.
Tuttavia, questi interventi hanno anche fornito importanti funzioni ecologiche come la dispersione dei semi e il miglioramento dei nutrienti del suolo. Ciò ha ampliato gli habitat per altre specie vegetali e animali e ha aumentato la biodiversità.
Tuttavia, l'idea deleteria che ritiene che noi esseri umani siamo separati dalla natura si è persino infiltrata in coloro che combattono per rallentarne la distruzione.
«C'è un paradigma tra scienziati naturali, ambientalisti e politici che la trasformazione umana della natura terrestre è per lo più recente e intrinsecamente distruttiva», scrive il Prof. Watson.
Negli ultimi tempi, la cosa è apparsa in questo modo, ma chiaramente non è sempre stato così. La presenza degli esseri umani in un territorio non ne ha sempre fatto estinguere la vita. I ricercatori hanno notato che in molte aree, una varietà di paesaggi diversi sono stati gestiti e sostenuti dalle persone per millenni.
Gli esseri umani sono stati in grado di utilizzare strategie come piantare, addomesticare gli animali e gestire gli ecosistemi in un modo che ha reso il paesaggio non solo più produttivo per noi stessi, ma anche contribuendo a sostenere l'elevata varietà delle specie.
«Il nostro studio ha trovato una stretta correlazione tra aree ad alta biodiversità e aree a lungo occupate da popolazioni indigene e tradizionali», scrive la dott.ssa Nicole Boivin, archeologa presso il Max Planck Institute.
«Il problema non è l'uso umano in sé, il problema è il tipo di uso del suolo che vediamo praticato nelle società industrializzate - caratterizzato da pratiche agricole insostenibili».
Inoltre, le aree attualmente caratterizzate come regioni naturali e ad alta diversità sono strettamente correlate con questo uso storico del suolo piuttosto che con gli attuali modelli di utilizzo del suolo.
«Dobbiamo riconoscere che alcuni tipi di attività umane - in particolare le pratiche di gestione del territorio più tradizionali che vediamo nei dati archeologici o praticate oggi da molti popoli indigeni - sono in realtà davvero favorevoli alla biodiversità. Dobbiamo promuoverle e potenziarle«, scrive Bovin.
Il dott. Darren Ranco antropologo presso l'Università del Maine ha osservato che mentre da una parte i popoli indigeni gestiscono circa il 5% delle terre del mondo che attualmente contengono l'80% della biodiversità mondiale dall'altra sono stati esclusi dalla gestione e dall'accesso delle aree protette come i parchi nazionali degli Stati Uniti d'America.
Questi risultati indicano che dovremmo responsabilizzare i popoli indigeni, tradizionali e locali che conoscono le loro terre in modi che la scienza sta solo adesso iniziando a capire, prosegue Ellis.
Nessuno suggerisce di tornare alle società senza tecnologia del nostro passato ma l'idea è quella di imparare da diversi modi di vivere che hanno precedenti di longevità comprovati.
Partendo da tali modi possiamo trovarne di nuovi e migliori in modo da andare avanti insieme all'aiuto delle nostre tecnologie avanzate, dovremmo finalmente riconoscere e accettare che gran parte di ciò che siamo oggi lo dobbiamo al fatto che come esseri umani siamo parte integrante della natura proprio come la natura fa parte di noi.
Riferimenti
Lo studio People have shaped most of terrestrial nature for at least 12,000 years è stato pubblicato sulla rivista PNAS.