Così si guarisce dal cioccolismo



    Anche per i topi il cioccolato può diventare un'ossessione. Sono disposti a ripetere centinaia di volte lo stesso esercizio pur di assaggiarne un po'. Lo studio, condotto dall'In-Cnr di Cagliari, è finalizzato allo sviluppo di farmaci per la cura da questa 'dipendenza'

    È una tradizione: non è Pasqua se non si mangia l'uovo di cioccolata. Non siamo i soli, però, ad esserne così golosi. Anche i topi, per gustarne un po', sono capaci di abbassare una leva erogatrice di cioccolata, trenta, cinquanta, cento volte e più per poi ricominciare subito dopo, senza arrendersi.

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    È quanto hanno osservato i ricercatori dell'Istituto di neuroscienze (In) del Consiglio nazionale delle ricerche di Cagliari nel corso di una ricerca sperimentale sui ratti, in corso di pubblicazione su Behavioural Pharmacology, mirata allo studio neurobiologico del 'cioccolismo' (dall'inglese chocoholism), la dipendenza da cioccolato.

    Il modello sperimentale messo a punto dall'In-Cnr dimostra quanto siano forti, anche nei ratti, le proprietà gratificanti del 'cibo degli dei'. "Più volte al giorno, per 20 minuti al massimo, abbiamo alloggiato i topi all'interno di gabbie provviste di una leva e di un dispensatore per liquidi", spiega Giancarlo Colombo, ricercatore In-Cnr.

    "I topi hanno rapidamente imparato che dieci pressioni sulla leva attivavano il dispensatore che, a sua volta, erogava la cioccolata per 5 secondi. Nel corso dei 20 minuti della sessione, i ratti hanno premuto la leva 800-1.000 volte e consumato circa 30 millilitri di cioccolata, circa un decimo del loro peso corporeo".

    "Mediante differenti procedure sperimentali è stato poi saggiato l'effetto del rimonabant, un inibitore selettivo del recettore CB1 degli endocannabinoidi, recentemente introdotto in alcuni paesi europei come farmaco per il controllo dell'appetito", prosegue Mauro Carai, dell'In-Cnr.

    "Abbiamo potuto riscontrare che l'utilizzo di rimonabant riduce drasticamente i valori di auto-somministrazione di cioccolata, suggerendo quindi un possibile utilizzo di farmaci ad azione antagonista su questo recettore nella terapia del 'cioccolismo'".

    Ulteriori prove, eseguite nel corso dell'esperimento, consistevano nell'aumentare progressivamente il numero delle pressioni sulla leva necessarie per l'erogazione. "Tanto maggiore era il valore massimo raggiunto (breakpoint), ossia il numero di pressioni effettuate prima di arrendersi, tanto più intensa era la motivazione del ratto a consumare la cioccolata", riassume Paola Maccioni, co-autrice della pubblicazione.

    "Nel secondo esperimento, invece, la cioccolata non era mai distribuita, a prescindere dalle pressioni esercitate sulla leva; anche in questo caso, registravamo il numero massimo delle pressioni raggiunte da ogni ratto prima di fermarsi (definito extinction responding). I valori medi di breakpoint ed extinction responding registrati sono stati rispettivamente pari a circa 100 e 250, confermando quanto 'lavoro' i ratti sono disposti a compiere pur di ottenere qualche goccia di cioccolata. Utilizzando il rimonabant, sia i valori di breakpoint che quelli di extinction responding risultavano notevolmente ridotti o soppressi completamente".

    "Anche se poco conosciuto, il 'cioccolismo' risulta un fenomeno di dimensioni sorprendentemente ampie nei paesi occidentali", conclude Colombo. "Fonti americane indicano che ad essere colpite maggiormente sono le donne, nella misura del 40%, mentre la popolazione maschile è coinvolta per il 15%". Dati che evidenziano l'importanza di un disturbo che, in alcuni dei suoi sintomi, viene paragonato alla dipendenza di sostanze d'abuso.

    Roma, 19 marzo 2008