Perché è importante lo studio
Lo studio condotto dai ricercatori dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi del CNR è molto importante perché apre la strada allo sviluppo di applicazioni pratiche nel campo delle telecomunicazioni, del biomedicale, della sicurezza e del monitoraggio ambientale.
Che cos’è il silicio?
Il silicio è un elemento chimico scoperto nel 1810 dal chimico svedese Jöns Jacob Berzelius (considerato uno dei fondatori della chimica moderna insieme a Robert Boyle, John Dalton e Antoine Lavoisier). Il silicio dopo l’ossigeno è l’elemento più abbondante della crosta terrestre, nella quale si trova soltanto allo stato combinato sotto forma di silicato o di ossido.
Il silicio viene ampiamente utilizzato nel campo della microelettronica ma non viene molto utilizzato nel campo della fotonica
Il silicio è un semiconduttore largamente utilizzato nel campo della microelettronica ma, sfortunatamente, per applicazioni fotoniche (laser, modulatori, fotorivelatori a stato solido ecc…), non è il migliore substrato possibile. Uno degli svantaggi è che il silicio non è in grado di assorbire, e quindi di rivelare, la radiazione ottica del vicino infrarosso e quindi il suo impiego è escluso per esempio per applicazioni legate alle telecomunicazioni in fibra ottica a lunga distanza.
Tuttavia la tecnologia in silicio, largamente sviluppata negli anni di forte espansione della microelettronica, è molto vantaggiosa poiché garantisce la fabbricazione di componenti hardware a basso costo.
Adattare il silicio alle funzionalità fotoniche grazie al grafene
Per rendere il silicio adatto alle varie funzionalità fotoniche, presso l’IMM (Istituto per la microelettronica e microsistemi) del CNR di Napoli sono in fase di studio, non solo nuovi effetti, ma anche nuovi materiali che, integrati con il silicio, siano in grado di conferirgli proprietà che altrimenti non avrebbe. Il grafene è uno di questi materiali. L’attività di ricerca del gruppo GrapheNeapolis IMM-Napoli coordinata dall’Ing. Maurizio Casalino (http://grafene.cnr.it/ricerca-2/gruppi/grapheneapolis-imm-napoli/ ), sta ottenendo degli ottimi risultati per quanto riguarda i trasduttori luce-corrente basati su strutture ibride grafene/silicio funzionanti nel vicino e medio infrarosso.
La scoperta del grafene
La scoperta del grafene è avvenuta negli anni ’90 grazie all’intuizione di due ricercatori russi, Andre Geim e Kostya Novoselov i quali, quasi per gioco, utilizzarono un nastro adesivo per isolare il singolo strato di grafene da un blocco di grafite. I due scienziati ne intuirono immediatamente le sorprendenti proprietà. Oggi l’unione Europea è tanto convinta delle potenzialità del grafene dall’aver stanziato un miliardo di euro per la ricerca in tale ambito. Il progetto Graphene Flagship coinvolge enti, università e industrie sparsi in 17 paesi d’Europa.
Che cos’è il grafene
Immagine - La struttura cristallina del grafene è una griglia esagonale. Author: AlexanderAlUS - Own work CC-BY-SA 3.0 - From Wikipedia, the free encyclopedia.
Il grafene è costituito da uno strato di atomi di carbonio arrangiati in una struttura a nido d’ape, il suo spessore è dunque pari al diametro di un atomo di carbonio e questo è il motivo per cui il materiale viene spesso definito come bidimensionale.
Il grafene è dotato di proprietà sorprendenti: conduzione elettrica e termica eccellenti, elevata robustezza ma allo stesso tempo flessibilità, trasparenza in un’ampia gamma di frequenze, per citarne solo alcune. Queste caratteristiche rendono tale materiale ideale nella realizzazione di una miriade di applicazioni nel campo dell’elettronica (touchscreen, elettronica veloce, batterie ricaricabili ad elevate prestazioni), della fotonica (sorgenti di luce, modulatori e fotorivelatori) e della biomedicina (biosensori ad elevata sensibilità).
Che cos’è la fotonica e qual è lo stato attuale di questa disciplina
La fotonica si occupa della comprensione e della manipolazione dei fotoni così come l’elettronica si occupa della comprensione e della manipolazione degli elettroni. La fotonica è sempre più presente nella vita delle persone, basta pensare alle connessioni internet basate su fibre ottiche, oramai ampiamente utilizzate nelle nostre città. Le telecomunicazioni in fibra ottica hanno sempre mostrato un grande potenziale, ma hanno anche storicamente goduto di una pessima reputazione, e ciò è in larga misura legato all’elevato costo dei suoi componenti hardware, difficilmente realizzabili in silicio a causa di alcuni limiti intrinseci del materiale.
Qualche anno fa la comunità scientifica ha affrontato la sfida di ridurre i costi provando a realizzare laser a stato solido in silicio ma, nonostante i grandi sforzi, ad oggi, non è disponibile alcun prodotto commerciale. Tuttavia, grazie ad un approccio ibrido, l’INTEL sta avviando la produzione di massa di una ricetrasmittente fotonica, parzialmente basata su silicio, in grado di trasmettere segnali a 100 gigabit al secondo. Questo dispositivo promette di favorire la transizione verso le interconnessioni ottiche, risolvendo molti problemi legati all’ingombro ed ai consumi delle interconnessioni elettriche ampiamente utilizzate, per esempio, in ambito Data Center.
«Nel campo della fotonica, un’attività di ricerca molto promettente riguarda la possibilità di implementare funzionalità ottiche su substrati flessibili. Quest’attività è anche strettamente connessa a quella che oggi viene chiamata la ‘fotonica indossabile’» scrive l’Ing. Casalino. Recentemente il team di ricercatori del prof. Juejun Hu del Massachusetts Institute of Technology ha sviluppato, in collaborazione con l’Università della Florida Centrale, l’Università del Texas (Austin), il Centre de Nanosciences et de Nanotechnologies (Orsay, Francia) dei sensori fotonici flessibili di nuova generazione.
Lo studio “Monolithically integrated stretchable photonics” realizzato dal MIT è stato recentemente pubblicato sulla rivista Light Science & Applications https://www.nature.com/articles/lsa2017138
Immagine - Il nuovo materiale prodotto dal team del prof. Juejun Hu può essere ripetutamente allungato senza perdere le sue proprietà ottiche. Credits: MIT, Cambridge, USA
I dispositivi flessibili prodotti dal team del MIT vengono realizzati posizionando un particolare sottilissimo vetro detto calcogenuro (Ge23Sb7S70, di spessore 450 nm) tra due strati di un polimero epossidico, l’intera struttura viene realizzata sopra un substrato polimerico organico chiamato polidimetilsilossano (PDMS, 3 μm di spessore) 3 μm di spessore Ge23Sb7S70. Grazie a questi materiali, i ricercatori sono riusciti a dimostrare l’integrabilità di dispositivi fotonici su substrati flessibili. Tali dispositivi, quando interrogati con la luce infrarossa, mostrano la capacità di variare la propria risposta ottica in funzione del grado di stress estensivo applicato al substrato. Infine i ricercatori sono stati in grado di ricavare un modello matematico predittivo applicabile a questa tipologia di dispositivi.
Questa tecnologia potrà essere impiegata per sviluppare sistemi di monitoraggio applicabili sottopelle, in grado ad esempio di rilevare contemporaneamente più parametri, come: frequenza cardiaca, livelli di ossigeno, livelli di glucosio e pressione sanguigna.
I primi dispositivi fotonici basati su strutture ibride
Il grafene ha ricevuto una grande risonanza a partire dal 2010, anno in cui i due ricercatori russi vinsero il Nobel per la fisica. In quel periodo, il gruppo di ricerca dell’IMM-CNR stava lavorando alla realizzazione di dispositivi fotonici basati su strutture ibride metallo/silicio per la conversione in corrente della luce infrarossa, ottenendo alcuni risultati promettenti.
L’intuizione di sostituire il metallo con il grafene è maturata in questo contesto e nel 2012 il gruppo di Maurizio Casalino dell’IMM-CNR contattò il Graphene Centre dell’Università di Cambridge per proporre una collaborazione. Tuttavia, i risultati che hanno permesso al gruppo dell’IMM-CNR di pubblicare l’attività di ricerca attraverso l’articolo "Vertically Illuminated, Resonant Cavity Enhanced, Graphene–Silicon Schottky Photodetectors" sulla prestigiosa rivista ACS (American Chemical Society) Nano sono arrivati nel 2016.
Il suddetto studio è frutto della collaborazione tra l’IMM-CNR, il Cambridge Graphene Centre dell’Università di Cambridge (Regno Unito) e il dipartimento di ingegneria e scienze dei materiali dell’Università di Ioannina (Grecia).
Immagine al microscopio ottico del fotorivelatore grafene/silicio funzionante a 1550 nm
Che cosa dimostra lo studio
Lo studio dimostra come, realizzando strutture ibride grafene/silicio, sia possibile combinare le proprietà di assorbimento ottico del grafene (alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso), con la capacità di fabbricazione propria della tecnologia in silicio, realizzando così strutture ottiche complesse in grado di intrappolare la luce al fine di incrementare l’efficienza di conversione.
Che cosa sono i fotorilevatori?
I fotorivelatori sono dei dispositivi elettronici in grado di convertire la luce (a diverse lunghezze d’onda) in corrente elettrica, stiamo parlando quindi di dispositivi optoelettronici. Tali dispositivi vengono realizzati per lavorare ad esempio con le lunghezze d’onda del visibile (380-750 nm) o del vicino infrarosso (750-2500 nm) dipendentemente dalle applicazioni alle quali sono rivolti.
Per esempio, alle lunghezze d’onda del visibile, i fotorivelatori in silicio sono molto efficienti e ampiamente utilizzati per la realizzazione di dispositivi elettronici di uso comune come fotocamere e macchine fotografiche digitali.
Al contrario, nel vicino infrarosso, ed in particolare a 1550 nm (la lunghezza d’onda che si propaga all’interno delle fibre ottiche per le comunicazioni a grande distanza), il silicio non può essere più utilizzato perché non è in grado di assorbire la radiazione ottica incidente e, quindi, di effettuare la conversione in corrente.
Alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso quindi, tale conversione viene in genere realizzata con materiali quali l’arseniuro di gallio e indio, particolarmente costoso da lavorare, oppure il germanio. Tuttavia, nonostante i fotorivelatori in germanio abbiano ampiamente dimostrato la possibilità di essere realizzati da substrati di silicio, l’integrazione di tali dispositivi contestualmente alla circuiteria microelettronica (integrazione monolitica) risulta essere ancora lontana dalla fase di produzione.
Principali caratteristiche tecniche del fotorivelatore ibrido formato da una giunzione silicio/grafene
I fotorivelatori realizzati dall’IMM-CNR mostrano la possibilità, sia di integrare il processo di fabbricazione del grafene con quello tipico della tecnologia in silicio, sia di aumentare l’assorbimento del sottile strato di grafene grazie ad un intrappolamento della luce.
Il coefficiente di conversione del prototipo
L’efficienza di conversione è di 20 mA/W, e, sebbene tale efficienza permetta già un impiego del dispositivo in alcune applicazioni pratiche, essa può essere ulteriormente incrementata.
Margini di miglioramento dell’efficienza di conversione del prototipo
In questo periodo il gruppo di ricerca dell’IMM-CNR sta progettando una versione ulteriormente ottimizzata del dispositivo che preveda l’utilizzo di cavità ottiche in grado di aumentare l’efficienza di intrappolamento della luce per fare in modo che il sottile strato di grafene possa assorbire il 100% della radiazione incidente. Le simulazioni del gruppo di ricerca del CNR fanno ben sperare (http://ieeexplore.ieee.org/document/8253441/): l’efficienza di conversione teorica è paragonabile a quella dei dispositivi commerciali basati su arseniuro di gallio. Inoltre, i dispositivi proposti mostrano le potenzialità di lavorare, non solo alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso, ma anche a quelle del medio infrarosso, rendendo così i fotorivelatori in silicio adatti per altre tipologie di applicazioni come quelle riguardanti il monitoraggio ambientale.
Le sfide da affrontare prima di arrivare alla produzione industriale dei fotorivelatori in silicio/grafene funzionanti con la lunghezza d’onda dell’infrarosso
La criticità principale riguarda la capacità di integrare il processo di fabbricazione e di trasferimento del grafene con la consolidata tecnologia in silicio in maniera affidabile e ripetibile. Il grafene, infatti, può facilmente essere danneggiato dai processi tecnologici tipici della microelettronica e, trattandosi di un “foglio” di atomi di carbonio, il suo trasferimento può dare luogo a difetti e corrugazioni. Tutto ciò naturalmente tende a peggiorare, in alcuni casi anche a compromettere, le prestazioni attese dai dispositivi progettati.
Le applicazioni pratiche dei fotorivelatori: telecomunicazioni, sicurezza, biomedicina
Riguardo alle applicazioni concrete, con particolare riferimento alle telecomunicazioni, l’obiettivo nel prossimo futuro è quello di andare incontro alle richieste di una sempre maggiore densità di banda, mantenendo però i costi contenuti. In un mondo sempre più connesso si prevede l’esigenza di trasmettere dati ad una frequenza di 10 terabit al secondo, mentre oggi la capacità di trasmissione è cento volte inferiore.
Il grafene, grazie alle sue sorprendenti proprietà, può permettere la realizzazione di dispositivi particolarmente veloci, mentre il silicio è in grado di garantire la fabbricazione di dispositivi economici. In altre parole, la realizzazione di strutture ibride grafene/silicio promette di soddisfare entrambe le esigenze: elevate prestazioni ed economicità.
Nel campo della sicurezza, i dispositivi proposti potrebbero essere utilizzati per la realizzazione di telecamere in grado di migliorare la visibilità in condizioni critiche, per esempio in presenza di nebbia, da impiegare in vari settori tra cui quello dell’automobile.
Inoltre, nel campo biomedicale, il dispositivo potrebbe trovare largo impiego nella tomografia a coerenza ottica, una tecnica di imaging per tessuti biologici.
Infine, il gruppo di ricerca dell’IMM-CNR sta lavorando alla realizzazione di dispositivi ibridi grafene/silicio in grado di rilevare la radiazione ottica infrarossa fino a 2 μm. Ciò renderebbe i fotorivelatori adatti ad altri tipi di applicazioni, per esempio quelle relative al monitoraggio ambientale in particolare per rivelazione dei gas serra come l’anidride carbonica (CO2).
Riferimenti
"Monolithically integrated stretchable photonics"
Light: Science & Applications
https://www.nature.com/articles/lsa2017138
Authors: Lan Li, Hongtao Lin, Shutao Qiao, Yi-Zhong Huang, Jun-Ying Li, Jérôme Michon, Tian Gu, Carlos Alosno-Ramos, Laurent Vivien, Anupama Yadav, Kathleen Richardson, Nanshu Lu & Juejun Hu
"Design of Resonant Cavity-Enhanced Schottky Graphene/Silicon Photodetectors at 1550 nm"
Journal of Lightwave Technology
http://ieeexplore.ieee.org/document/8253441/
Author: Maurizio Casalino