Molti pazienti psichiatrici vanno considerati, non a torto, come delle personalità altamente creative.
Nel caso del pittore e narratore Alberto Savinio (1891-1952), fratello più giovane del grande Giorgio de Chirico, si deve ipotizzare - sulla base di un fundus eziopatologico particolarmente rivelatore e sulla scorta di una sintomatologia non meno ricca che sorprendente - che la sua personalità possa rientrare fra quelle tipicamente borderline in perpetua oscillazione liminare - in equilibrio perennemente instabile, direbbe un fisico - tra normalità e psicosi.
D'altronde in Savinio l'istituto della creazione artistica si scontra a ogni piè sospinto con la diagnosi di disturbo della personalità da cui l'illustre paziente fu con ogni evidenza affetto: ne domina il quadro clinico, in modo che non si esita a definire imponente, la cosiddetta sindrome di Asperger, una forma attenuata di autismo.
Altri sintomi riferibili a Savinio: disturbo bipolare, ipergrafismo, verbigerazione, feticismo d'oggetto, alessitimia, tendenze asociali, aprassia cognitiva e comportamentale, deficit del visus, prosopagnosia (difficoltà a dare un nome ai volti).
Tutti sintomi, più o meno sfumati, i quali, in modo più o meno marcato, segnano il percorso umano e artistico di Savinio. Le conclusioni della ricerca, i cui dati qui si riassumono, sono più distesamente illustrate nel saggio di C.A. Landini, Lo sguardo assente. Arte e autismo: il caso Savinio, Franco Angeli, Milano 2009 (pp. 200, € 20,00)
<img src="/files/copertina_lo_sguardo_assente.jpg" alt="Copertina "Lo squardo assente" /> Immagine - 1 - Copertina "Lo squardo assente".
Savinio, principio di piacere e principio di realtà. Fedeltà ai valori.
Fra i pittori e letterati che meno in assoluto hanno beneficiato dell'attenzione non sempre disinteressata, talora dichiaratamente maliziosa, spesso di parte, ossia preconcetta, della psicanalisi e dei suoi sacerdoti officianti, è Alberto Savinio, fratello minore del più famoso e celebrato Giorgio de Chirico.
Di più mite natura Savinio, più colto e intelligente del fratello, più discreto, meno di questi portato all'autocelebrazione grossolana e invadente. Un intellettuale a tutto tondo, oggi lo si direbbe.
E' tuttavia possibile che il caro prezzo pagato da Savinio allo scopo di tutelare la propria libertà di intellettuale e salvaguardare così il proprio lavoro dal rischio dell'omologazione, quello delle secche epistemiche di una borghesia compromessa in toto col Fascismo, sia andato traducendosi, col tempo, in precise anomalie della lingua e del pensiero, entrambi eccentrici, personalissimi, ben lontani da quella "normalità" borghese alla quale Andrea – era questo il suo vero nome – avrebbe forse voluto aderire col cuore, come a tutti succede di volere, di desiderare, di augurarsi; ma alla quale la sua sensibilità finissima, la sua dirittura morale, la sua passione civile non potevano in alcun caso consentire.
È plausibile ipotizzare, in Savinio, un importante deficit della similarità, o dei rapporti di sostituzione, per il quale il pittore e narratore non è più in grado di percepire identità o somiglianze, e per il quale dominano la progressiva perdita dei contorni e la letteralità dell'interpretazione visiva (che l'osservatore comune è tentato di accostare, pertanto, alle allucinazioni dei pazienti psicotici) e verbale.
La perdita dell'attitudine astratta è quella che non permette al soggetto se non una restituzione iconica, puntuale, cronachistica, degli eventi, condannandolo al limbo di una percezione deprivata di tutte le sfumature e gradazioni connotazionali compresenti in un termine, in una scena, in un evento.
Immagine - 2 - A. Savinio, Autoritratto (1936), carboncino e biacca su cartone incollato su compensato, cm. 70 x 50, Torino, Galleria Civica d'Arte Moderna.
2. Riconoscere la propria faccia.
Vi è poi, sempre in Savinio, la palese incapacità di riconoscere i volti delle persone, alla quale il grande Ramachandran ha dedicato preziose osservazioni1.
Detta incapacità prende il nome di prosopagnosia. "L'uomo spiegherà Savinio nel 1942, ma le spiegazioni fornite dai pazienti psichiatrici sono sempre, o di regola, parte integrante di un quadro nevrotico reattivo di "razionalizzazione" dell'esistente2, vanno prese, cioè, con beneficio di inventario per quello che sono, ovvero equivalenti di sintomi – non vuole più vedere la propria faccia" 3.
L'ipotesi estrema è che Savinio realmente veda le cose, a cominciare dai volti del suo prossimo, così come egli ce le restituisce nei suoi quadri, così come egli ne parla nei suoi romanzi e racconti: "mi vedo, intorno intorno, uomini con facce bestiali", confessa lo scrittore4, e tutto fa supporre che egli le vedesse davvero, e che la dichiarazione non debba intendersi in senso traslato, come un tropo del pensiero o una figura della retorica discorsiva.
Sulla medesima linea ermeneutico-interpretativa si attestano le produzioni più estreme e singolari di Savinio, come possono esserlo l'uccello (secondo altri un gatto) antropomorfizzato del celebre autoritratto eseguito nel 1936, conservato alla Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino, in cui il pittore si rappresenta nelle forme di un singolare, inquietante, uomo-civetta (o uomo-gatto) (Immagine - 2).
Savinio, inoltre, affetto da alessitimia, pur ricco di esperienze relazionali, fisiche e mentali come lo è generalmente ciascuno di noi, non è però in grado di prenderne coscienza, né di esprimerle5.
Taluno ha correlato l'alessitimia, disturbo insieme cognitivo e affettivo, alla patologia schizoide6: Savinio, incapace di riconoscere e di esprimere le proprie emozioni, come la maggior parte dei pazienti alessitimici, e ben oltre il riduttivo ed eufemizzante di una timidezza caratteriale innata, le maschera e traveste abilmente.
Le figure mitologiche divengono in lui degli equivalenti di una riparazione pulsionale necessaria, protesi vicarianti di una personalità ego-sintonica ed evitante.
E proprio qui, nel cerchio fatato dell'io narcisistico, nel cercle fermé di un carattere schivo, ritroso, apparentemente apatico, come affermano coloro che hanno la fortuna e il privilegio di conoscere e di frequentare il Nostro, nel corto circuito di una pulsione quiescente ma viva e di un acting out bloccato, sta il penoso segreto dell'autismo mitigato, la quale, nella sua forma compromissoria, episodica e meno grave, prende il nome di sindrome di Asperger, dal medico che per primo la individuà e descrisse7.
Il disturbo dissociativo dell'identità (che "si sdoppia, si guarda da fuori, diventa il giudice e l'irrisore di se stesso")8 si salda, nel Nostro, con un feticismo dinamico e relazionale dai tratti inequivocabili, lo stesso che gli consente di tramutare i genitori in due statue (Immagine - 3), due "mobili animati" in nome di una originalissima antropomorfizzazione degli oggetti (lo stesso aveva fatto Maupassant in un suo fortunato racconto)9.
Immagine - 3 - A. Savinio, Monumento marino ai miei genitori (1950), tempera su masonite, cm. 71 x 60, Bologna, collezione Vincenzina Lanteri Stame.
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