I neutroni nella lotta al diabete


    I neutroni rappresentano un’arma contro il diabete, una delle tante malattie croniche in aumento a livello mondiale.


    A cura di Anne Martel, Large Scale Structures Group, D22 Instrument Scientist, e Giovanna Fragneto, Large Scale Structures Group Leader dell'Institut Laue-Langevin (Grenoble, Francia).

    Centro di riferimento a livello mondiale per la scienza e la tecnologia dei neutroni, l'Institut Laue-Langevin (ILL) fornisce agli scienziati la possibilità di utilizzare un alto flusso di neutroni che alimenta una quarantina di strumenti altamente performanti. Tali strumenti vengono adoperati per un'ampia varietà di ricerche soprattutto fondamentali nelle aree della biologia, della chimica, della fisica della materia condensata, della fisica nucleare e altro ancora. Costituito nel 1967, ILL ha appena festeggiato 50 anni di produzione di neutroni al servizio della scienza e della società.

    La salute è un'altra una delle aree in cui l’impatto della scienza e della tecnologia realizzate attraverso l’uso dei neutroni ha grande visibilità, dal momento che essi forniscono uno strumento di analisi particolarmente efficace per poter investigare le proprietà della materia su scala sia atomica che molecolare. L'impiego di metodi di scattering nella ricerca medica ha fatto compiere enormi passi avanti nella nostra conoscenza dei meccanismi biologici che si trovano alla base di varie patologie croniche, dal diabete al morbo di Alzheimer, contribuendo alla messa a punto di nuovi prodotti come ad esempio farmaci e polimeri. Questo genere di ricerca è incredibilmente importante dal momento che possiede le potenzialità per migliorare la qualità e l'aspettativa di vita.

    Combattere il diabete, un'epidemia globale in piena diffusione

    Le malattie croniche colpiscono milioni di persone in tutto il mondo. A differenza di quelle infettive, non possono essere curate con i farmaci né prevenute con i vaccini. Ecco perché queste patologie complesse meritano una ricerca approfondita per migliorare i metodi terapeutici e i decorsi clinici.

    Lo strumento IN15 - Credit: ILL, B. CubittImmagine - Lo strumento IN15 - Credit: ILL, B. Cubitt

    Il diabete è una malattia cronica di proporzioni epidemiche globali caratterizzata dall'incapacità dell'organismo di utilizzare efficacemente o di produrre sufficienti quantità di insulina, un ormone che regola i livelli di zuccheri nel sangue.

    Secondo la World Health Organisation (WHO), il numero di persone colpite da diabete a livello mondiale è stato di 422 milioni nel 2014. Si prevede che questo numero possa salire a 642 milioni di persone entro il 2040, ovvero un adulto su dieci. Il diabete di Tipo 2 (T2D), che riguarda la maggioranza dei casi di diabete al mondo, è una patologia cronica permanente provocata dall'utilizzo inefficace dell'insulina prodotta dall'organismo e dal conseguente eccessivo innalzamento dei livelli di glucosio nel sangue.

    Un importante effetto patologico del T2D è il progressivo deterioramento ed esaurimento delle cellule beta pancreatiche, che comporta a sua volta la regolazione difettosa del glucosio.

    Esistono sempre più prove che suggeriscono che un tale esaurimento sia concomitante con la formazione di aggregati amiloidi nelle isole pancreatiche di Langerhans; questi aggregati fibrillari sono composti principalmente dallo IAPP (Polipeptide Amiloide Insulare), un ormone che viene secreto insieme con l'insulina dalle cellule beta. In condizioni di salute normali, la quantità di IAPP prodotta è inferiore a quella dell'insulina, mentre viceversa aumenta sostanzialmente con lo sviluppo del T2D.

    Immagine - lo strumento D11 SANS (small angle neutron scattering)Immagine - Lo strumento D11 SANS (small angle neutron scattering)

    Molta ricerca è stata finora dedicata alla comprensione dei meccanismi che portano alla morte delle cellule beta indotta dallo IAPP. La concorrenza tra aggregazione di IAPP ed esaurimento delle cellule ha suggerito l'ipotesi che l'aggregazione sia responsabile della comparsa dei sintomi attraverso la rottura dell'omeostasi ionica che conduce quindi alla morte delle cellule. Tuttavia, l'esatto meccanismo biologico relativo al coinvolgimento dello IAPP nell'esaurimento delle cellule rimane ancora poco chiaro.

    Prevedendo la crescita del diabete a proporzioni epidemiche ancora maggiori, ottenere una precisa comprensione della malattia è essenziale allo scopo di migliorare gli approcci terapeutici attuali e sviluppare farmaci più efficaci.

    Presso l'ILL abbiamo recentemente condotto uno studio in collaborazione con i ricercatori dell'Institute for Molecular Engineering dell'Università di Chicago e dell'Institut de Biologie Structurale di Grenoble allo scopo di migliorare le nostre conoscenze dei meccanismi citotossici dello IAPP.
    Abbiamo indagato l'interazione tra IAPP e membrane modello – in particolare la permeazione delle membrane e gli effetti strutturali dello IAPP – avvalendoci di una serie di tecniche tra cui lo scattering e la riflettometria di neutroni. Questo studio è stato pubblicato online sul Journal of the American Chemical Society nel dicembre 2016(1).

    Gli esperimenti condotti con tecnica SANS (Small-Angle Neutron Scattering) sono stati eseguiti utilizzando il diffrattometro D22 all’ILL, che viene impiegato per lo studio dei materiali su nanoscala. D22 è uno strumento particolarmente adatto per studiare la struttura in soluzione di molecole biologiche, grazie all'elevato flusso di neutroni e al rumore di fondo basso.

    Gli esperimenti di riflettometria sono stati realizzati invece con FIGARO, un riflettometro orizzontale usato per lo studio di superfici, strati sottili e interfacce. Questo strumento di ILL, caratterizzato da un flusso elevato e da una risoluzione flessibile, possiede caratteristiche adatte a una varietà di studi nella materia condensata soffice, nella fisica, nella biologia e nella chimica.

    Utilizzando queste tecniche neutroniche insieme con altri strumenti di caratterizzazione complementari disponibili nei laboratori di supporto di ILL, siamo stati in grado di osservare come l’aggregazione di amiloidi e la permeazione delle membrane siano due processi indipendenti. Tali processi sono peraltro competitivi, con l’aggregazione che porta a inibire la permeazione delle membrane.

    Credit: ILL, A. Chézière

    Immagine - FIGARO, riflettometro orizzontale usato per lo studio di superfici, strati sottili e interfacce. Credit: ILL, A. Chézière

    Mentre in passato si era immaginato che gli aggregati di IAPP fossero la causa della permeazione delle membrane, con conseguenti perdite di calcio provocanti la morte delle cellule, i risultati del nostro studio suggeriscono una nuova ipotesi.

    Siamo infatti convinti che l’aggregazione amiloide costituisca un meccanismo di difesa dell’organismo umano laddove l’incapsulazione di IAPP in aggregati abbia l'effetto di ‘silenziare’ i peptidi citotossici impedendone l’interazione con la membrana cellulare, abbassando di conseguenza la tossicità dello IAPP per le cellule beta pancreatiche e ritardando l’insorgere della patologia.

    Abbiamo inoltre osservato come la permeazione delle membrane comporti una rimozione di lipidi dalla membrana, che vengono a propria volta inclusi negli aggregati. Questo meccanismo, pur compatibile con l’ipotesi generalmente accettata dell’”oligomero tossico”, non comporta l’inserimento di un assemblaggio di peptidi con conseguente formazione di pori.

    Dopo che le nostre osservazioni hanno prodotto una nuova ipotesi circa l’interazione tra IAPP e membrane, restano chiaramente necessari ulteriori studi sul ruolo dello IAPP nella patologia del T2D per aiutare a sviluppare farmaci meglio calibrati, con l’obiettivo di affrontare la riduzione delle cellule beta nelle isole pancreatiche di Langerhans. Inoltre, poiché la nostra ipotesi suggerisce che gli aggregati di IAPP siano un meccanismo di sicurezza per ridurre la diffusione delle tossine, la ricerca farmacologica potrebbe essere dirottata verso composti che promuovano l’aggregazione amiloide anziché inibirla.

    Comprendere le malattie croniche attraverso membrane biologiche modello

    Presso ILL siamo specializzati nell’uso di membrane biologiche modello che ci aiutano a combattere le patologie croniche come le amiloidosi, un gruppo di malattie caratterizzate dall’aggregazione e dall’accumulo di fibre insolubili di proteine negli organi vitali del corpo.

    Il componente principale degli aggregati fibrillari in tutte le amiloidosi è uno specifico peptide amiloide: nell’Alzheimer si tratta del peptide Aβ, nel Parkinson è l’α-sinucleina e nel T2D, come citato prima, è lo IAPP (Islet Amyloid PolyPeptide).

    Tutte le amiloidosi hanno in comune la tendenza della morte anomala delle cellule ad avvenire nelle regioni dove si trovano questi aggregati. Gli aggregati finali non sono citotossici, il che porta a ipotizzare che le specie citotossiche che provocano l’insorgere dei sintomi delle malattie siano specie intermedie che emergono nel corso del processo di aggregazione.

    L’impegno di ILL nei confronti della ricerca medica è ulteriormente provato dal nostro coinvolgimento in un’iniziativa infrastrutturale integrata per lo scattering di neutroni e la spettroscopia a muoni denominata SINE2020 Joint Research Activity (JRA) on Chemical Deuteriation.

    Lo scopo dell’iniziativa è quello di integrare tutte le infrastrutture di ricerca ricerca presenti nello Spazio Europeo della Ricerca e attive nei campi dello scattering di neutroni e della spettroscopia a muoni per facilitare il coordinamento pan-europeo delle attività di ricerca condotte in queste aree.

    Come evidenziato dallo studio sul diabete sopra citato, presso ILL l’iniziativa SINE2020 JRA comporta la produzione di membrane biologiche modello a partire da lipidi naturali e lo studio delle loro caratteristiche mediante tecniche basate sui neutroni, con strumenti ad alte prestazioni per l’analisi delle membrane biologiche.

    Queste membrane artificiali vengono realizzate in modo da imitare al meglio le reali membrane presenti nel corpo umano, così da permettere agli scienziati di utilizzarle per studiare accuratamente i meccanismi biologici sottostanti alle varie patologie umane.

    La nostra sfida è quella di riuscire a gestire la complessità delle membrane naturali pur semplificando il sistema fino al punto di poter comprendere il ruolo di ciascun elemento. Oltre al T2D, gli strumenti dell’ILL hanno fornito importantissime informazioni sul meccanismo di perdita cellulare associato alle malattie di Alzheimer e Parkinson.

    Il morbo di Alzheimer

    I progressi della medicina e l’innalzamento degli standard di vita globali hanno portato la razza umana a vivere più a lungo che mai. Nel 2013 le Nazioni Unite hanno pubblicato un report con la previsione secondo cui entro il 2050 il 20% della popolazione mondiale avrà più di 65 anni.

    L’invecchiamento della popolazione comporta un aumento delle persone cui vengono diagnosticate malattie legate all’età. Tra queste vi è il morbo di Alzheimer, una condizione cronica nonché principale causa di demenza, caratterizzata da un progressivo declino della funzione cognitiva.

    Nel 2015 si stimava che vi fossero 46,8 milioni di persone colpite da demenza, mentre ogni anno vi sono più di 9,9 milioni di nuovi casi per un costo complessivo per l’economia mondiale superiore a 800 miliardi di dollari. Con un incremento a 131,5 milioni di casi previsto entro il 2050, riuscire a comprendere l’Alzheimer risulta incredibilmente importante.

    I meccanismi che si trovano alla base dell’Alzheimer devono essere ancora capiti fino in fondo, ma le osservazioni di tipo genetico, patologico e biochimico indicano come la progressiva produzione e accumulazione di peptidi beta-amiloidi (Aβ) giochi un ruolo chiave nella malattia. I neuroni rilasciano peptidi Aβ in forma solubile che generano progressivamente differenti assemblaggi molecolari, da strutture oligomeriche a strutture multimeriche, che finiscono col diventare aggregati fibrillari.

    Per questo motivo è ampiamente accettato il ruolo dell’aggregazione di peptidi Aβ al primo stadio nello sviluppo dell’Alzheimer e nel danneggiamento delle cellule del cervello, anche se le interazioni precise restano poco chiare.

    Image - • D17 neutron reflectometer - Credit: ILL, B. LehnImmagine - Il D17 è un riflettometro a neutroni adatto per l’analisi delle strutture superficiali sia nei solidi sia nelle interfacce tra solidi e liquidi - Credit: ILL, B. Lehn

    Una collaborazione tra ILL, il dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università di Milano e il dipartimento di Biochimica e Farmacologia Molecolare dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ha effettuato esperimenti di riflettometria di neutroni per comprendere i meccanismi biologici che sono alla base dell’Alzheimer. Lo studio è stato pubblicato in Nature Scientific Reports nel 2016(2).

    È stata studiata l’esistenza e la misura dell’interazione tra peptidi Aβ e una singola membrana biomimetica customizzata, insieme con la loro dipendenza dallo stato di aggregazione del peptide. La membrana biologica modello, contenente fosfolipidi, il ganglioside GM1 e colesterolo in proporzioni biosimilari, era stata progettata per imitare lo strato esterno di neuroni del cervello.

    Lo strumento D17 dell’ILL è stato impiegato per studiare le interazioni tra differenti forme di peptidi Aβ con la membrana sintetica. D17 è un riflettometro a neutroni progettato per la massima flessibilità nelle modalità di funzionamento e di risoluzione, ed è adatto per l’analisi delle strutture superficiali sia nei solidi sia nelle interfacce tra solidi e liquidi.

    I neutroni sono particolarmente adatti alla misurazione di elementi leggeri come quelli presenti nei materiali biologici, dal momento che possiedono un elevato potere di penetrazione che non provoca danni come farebbe invece un fascio di raggi X equivalente. In un esperimento di riflettività di neutroni riguardante campioni stratificati, come nel caso di questa membrana biologica modello, i riflettometri a neutroni sono gli strumenti più indicati per fornire informazioni dettagliate circa le strutture e le proprietà dei campioni stessi.

    Lo studio si è concentrato su due condizioni particolari:

    1) quando il peptide Aβ raggiunge la superficie che mima la zattera lipidica già nello stato di oligomero strutturato che interagisce con la membrana, e

    2) quando vengono somministrate forme di peptide Aβ non ancora strutturate e l’oligomerizzazione del peptide avviene sulla membrana.

    In entrambi i casi si sono evidenziate specie di peptide Aβ che interagiscono con la membrana, in particolare oligomeri strutturati e non strutturati, anche se esistono differenze circa l’estensione e la profondità dell’interazione. È interessante notare come queste differenze suggeriscano impatti relativi sulla membrana del tutto inaspettati.

    Gli esperimenti di riflettometria di neutroni hanno permesso di osservare come gli oligomeri strutturati si inseriscano nel foglietto esterno della membrana, dove costituiscono il seme per l’ulteriore accumulo ed elongazione di Aβ. Al contrario è stato scoperto che gli oligomeri non strutturati, che facilmente si dissolvono in monomeri, vengono catturati dalla membrana penetrando profondamente in direzione della superficie opposta – e questa osservazione di un impatto più profondo dei monomeri rispetto agli oligomeri è sorprendente rispetto ai concetti comunemente accettati.

    Un altro nuovo concetto che scaturisce da questo studio ipotizza un ruolo per una breve sequenza N-terminale dell’Aβ nella destabilizzazione della membrana cellulare. Insieme con la nota capacità dei semi costituiti da piccoli aggregati di peptidi nel favorire l’aggregazione di Aβ fino a formare delle fibre, questa nuova visione ci permette potenzialmente di identificare un nuovo metodo per impedire che queste sezioni di Aβ indeboliscano lo strato esterno della membrana. In questo modo ci potremo avvicinare a identificare nuovi obiettivi farmacologici con meccanismi efficaci in grado di bloccare la progressione dell’Alzheimer.

    Il morbo di Parkinson

    Uno studio simile riguardante l’interazione tra le membrane biologiche modello e la α-sinucleina, il peptide che interviene nel morbo di Parkinson, è stato effettuato in collaborazione con la European Spallation Source, il Dipartimento di Chimica dell’Università di Lund, il Wallenberg Neuroscience Centre presso l’Università di Lund, l’Oak Ridge National Laboratory, il Centre for Neurodegenerative Science del Van Andel Research Institute e la Keele University.

    Lo studio, che è stato pubblicato su ACS Chemical Neuroscience nel 20133, mirava a comprendere i determinanti molecolari per l’assorbimento della α-sinucleina monomerica nelle membrane biologiche modello.

    Il Parkinson è una malattia neurologica cronica caratterizzata dalla morte di neuroni e dal progressivo danneggiamento di diverse aree cerebrali nel corso degli anni con conseguenti tremori involontari, rallentamento dei movimenti e inflessibilità muscolare.

    Come l’Alzheimer, anche il Parkinson è una malattia collegata all’età, che al suo avanzare diventa un fattore di rischio chiave per lo sviluppo di questa condizione. I marker neuropatologici del Parkinson sono la presenza dei corpi di Lewy, aggregati interneuronali principalmente composti da una forma amiloide della proteina α-sinucleina.

    Si pensa che alla base del Parkinson vi siano le interazioni tra gli oligomeri di α-sinucleina e le membrane cellulari, ma i precisi meccanismi biologici di questa interazione restano incerti. Con oltre 10 milioni di persone nel mondo colpite dal morbo di Parkinson, ulteriori ricerche sui meccanismi biologici della malattia rivestono grande importanza.

    Il riflettometro a neutroni D17 di ILL è stato utilizzato nel corso dello studio per analizzare l’interazione tra la α-sinucleina e le membrane modello. Le misurazioni compiute per mezzo della riflettometria di neutroni hanno rivelato che la α-sinucleina viene assorbita nei bilayer contenenti lipidi anionici; un’associazione governata da interazioni elettrostatiche e dalla natura polarizzata della proteina amiloide.

    In termini di cambiamenti strutturali, l’interazione tra proteina e membrana provoca perturbazioni strutturali reciprocamente dannose. Mentre le superfici delle membrane possono alterare la velocità alla quale le proteine che formano amiloidi si convertono in aggregati e in proteine amiloidogeniche, questi aggregati possono a loro volta compromettere l’integrità strutturale delle membrane.

    Come per gli altri due studi, anche i risultati di questa ricerca hanno dimostrato come i neutroni possano offrire un efficace strumento di analisi nell’indagine dei problemi biomedicali indicando la necessità di proseguire le ricerche sui processi biologici e sui meccanismi citotossici associati al morbo di Parkinson e ad altre patologie croniche.

    Un impatto più ampio

    Sebbene i tre studi siano stati orientati ad arricchire le nostre conoscenze sulle esatte interazioni tra membrane e specifici peptidi amiloidi, due elementi appartenenti a una scala talmente piccola da essere invisibile all’occhio umano e ai più potenti microscopi, l’obiettivo ultimo di questo lavoro di ricerca comporta implicazioni assai più vaste.

    Presso ILL effettuiamo ricerche in numerosi campi medicali per riuscire a permettere a chi soffre di malattie croniche come ad esempio il T2D, l’Alzheimer o il Parkinson di ottenere un’aspettativa di vita più lunga e una miglior qualità della vita stessa.

    I nostri fasci intensi di neutroni, la strumentazione sofisticata, le tecniche ottimizzate per la preparazione di campioni e l’applicazione di metodi di scattering di neutroni contribuiscono al design e allo sviluppo di nuovi farmaci su misura per contrastare i meccanismi citotossici associati al progredire delle patologie migliorando la vita di chi ne soffre.

    Riferimenti

    1. Membrane permeation versus Amyloidogenicity: a multi-technique study of Islet Amyloid PolyPeptide interaction with model membranes, Martel et al., Journal of the American Chemical Society, 139 (1), 2016, DOI: 10.1021/jacs.6b06985
    2. Amyloid‑β Peptides in interaction with raft-mime model membranes: a neutron reflectivity insight, Rondelli et al., Nature Scientific Reports 6, 20997, 2016, DOI: 10.1038/srep20997
    3. Adsorption of α-Synuclein to supported lipid bilayers: positioning and role of electrostatics, Hellstrand et al., ACS Chemical Neuroscience, 4 (10), 2013, DOI: 10.1021/cn400066t