Paleoantropologia e Multimedialità


    Quando circa 7 anni fa John Craig Venter e colleghi cominciarono la grande avventura sul genoma umano, di qua dell’oceano il Museo di Storia naturale di Verona cominciava un minuscolo progetto di ricerca dedicato al riesame della sua collezione di fossili umani.

    Autori:

    Laura Longo, David Caramelli, Silvana Condemi.

    Cosa potevano avere in comune la grande ricerca americana sulla quale si è concentrata tutta l'attenzione economica e scientifica della National Science Foundation e il progetto di un piccolo museo della provincia italiana?

    In quella fase niente, ma per quegli scherzi che la natura si diletta a fare e poiché la ricerca scientifica è l'espressione più alta della creatività umana, quell'iniziale incolmabile distanza si è via via ridotta fino alla impensabile soluzione finale di oggi.

    Il primo Dna nucleare fossile che è stato decodidificato appartiene ad uno dei fossili umani conservati a Verona: il neanderthaliano rinvenuto a Riparo Mezzena, sepolto in un anfratto roccioso del vajo Gallina, sopra ad Avesa, ci ha mandato una sua fotografia che gli studiosi hanno sviluppato attraverso l'analisi dei geni del suo DNA nucleare.

    Per la prima volta siamo in grado di vederlo un neanderthaliano e sappiamo che quelli che abitavano sulle montagne veronesi avevano occhi e pelle chiara e capelli rossi.

    Di per se questo è un grande risultato che assicura a questo fossile un posto nella storia dell'uomo. La notizia della scoperta era già stata data anche dal Corriere di Verona, quando ad ottobre la foto del Neanderthal dai capelli rossi fece il giro del globo, rimbalzando sui giornali di tutto il mondo.

    Ma la ricerca è stata considerata talmente importante che Science, la più prestigiosa rivista scientifica del mondo, l'ha inserita nella selezione dei lavori scientifici di maggiore rilevanza usciti nel corso del 2007.

    Nella prima pagina del Breakthrough of the Year è menzionato lo studio del DNA nucleare effettuato su due reperti neandertaliani quello di Riparo Mezzena (Monti Lessini, Verona) e quello della Grotta di El Sidron (Asturie, Spagna).

    Per i consueti consuntivi di fine anno ora la notizia infatti è proprio questa.

    L'importanza di questo ulteriore riconoscimento non sta solo nel fatto che il lavoro di studiosi italiani è entrato in stretta relazione con quello di grandi e molto meglio finanziati gruppi di ricerca stranieri - immaginate la sorpresa ma soprattutto la soddisfazione dei ricercatori italiani - ma che è italiano anche il fossile su cui è stata effettuata per la prima volta la sequenza di DNA nucleare di nostri antenati estinti.

    Sebbene gli stessi gruppi di ricerca stiano lavorando per decodificare l'intero genoma dell'uomo di Neanderthal, la ricerca sul fossile di Mezzena è la prima ad essere stata effettuata sul DNA Nucleare.

    Definito "logico, elegante e convincente" e "un grande lavoro" da alcuni dei più importanti genetisti e ricercatori del mondo (N. Jablonski della Pensylvania State University e da Rick Sturm dell'IMB-University of Queensland, Australia) il lavoro sul gene mc1r effettuato da David Caramelli e colleghi dimostra, per la prima volta, come avessero ragione le ricostruzioni di neanderthaliani con la pelle chiara e i capelli biondo-rossicci proposte nei musei.

    "E' stato come incontrare un amico di chat… che non avevi mai visto ma di cui ti eri fatto un'idea piuttosto precisa" spiega Laura Longo che al Museo di Storia naturale di Verona ha organizzato una mostra dedicata alla ricostruzione delle fisionomie dei nostri antenati.

    "La pelle scura ha i suoi indubbi vantaggi in Africa, da dove l'umanità deriva, ma si è dimostrata un forte handicap quando i nostri lontani parenti hanno colonizzato i territori più settentrionali dell'Europa" continua Longo, tenace coordinatore del progetto "fossili umani del veronese" e conservatore di Preistoria del Museo di Verona "ecco perché la mutazione verso una colorazione chiara che filtra meno i raggi UV si è dimostrata una scelta vincente in un ambiente meno soleggiato e dove a causa del freddo ci si doveva coprire il corpo".

    David Caramelli, giovane e brillante genetista dei Laboratori di Antropologia dell'Università di Firenze, continua spiegando che "l'effetto dei raggi UV è fondamentale per una corretta azione della vitamina D, che serve per il metabolismo del calcio. Senza una sufficiente quantità di raggi UV che attivano la vitamina D non ci sarebbe stata abbastanza produzione di vitamina D e quindi le ossa non avrebbero avuto calcio a sufficienza".

    Etnograficamente sono ben conosciuti dagli antropologi i casi di rachitismo tra coloro che non prendono abbastanza sole.

    Continua il Caramelli "Si tratterebbe dunque di un chiaro esempio di convergenza evolutiva ovvero di come l'evoluzione abbia agito in modo indipendente in due specie che, a causa delle elevate latitudini alle quali entrambe vivevano, avevano necessità di sviluppare caratteristiche tali che consentissero loro di assorbire più raggi solari (pelle chiara) e quindi evitare gli scompensi dovuti alla scarsa produzione di vitamina D".

    "Questo adattamento del Neanderthal al suo ambiente era già stato discusso su base anatomica e scheletrica" conferma Silvana Condemi, Direttore di Ricerca al CNRS –Marsiglia Francia, la paleoantropologia del gruppo che sta ri-studiando i fossili umani veronesi dimenticati da almeno 30 anni nei cassetti del Museo.

    Ma si sa, uno dei plus valori dei Musei consiste proprio nella loro grande disponibilità a farsi leggere e aggiornare. Basta una buona idea – il progetto "fossili umani del veronese" – e un coordinamento scientificamente moderno delle ricerche, comprese quelle relative ai resti della cultura materiale affidate a Paolo Giunti, da anni collaboratore del Museo, e il gioco è fatto.

    Come Cenerentole offese dalla dimenticanza e dall'incuria scientifica, le vetrine polverose che contengono tesori preziosissimi per la nostra storia, possono diventare scintillanti ribalte per scoperte che entrano nella storia della scienza.

    Così è stato per i fossili e i reperti veronesi che promettono altri grandi risultati visto che l'attenzione dei riflettori della scienza non accennano a spegnersi.

    Infatti il Caramelli fa capire che molto altro bolle nella pentola della brodo primordiale del DNA nucleare del Riparo Mezzena.

    Dall'analisi del collagene, la sostanza organica che contiene il DNA, estratto da un neanderthaliano che viveva in Lessinia tra 40 e 50 mila anni fa si è potuti risalire per la prima volta al suo aspetto fisico.

    E' stato un po' come sviluppare una fotografia scattata migliaia di anni fa. L'analisi delle basi che compongono quel frammento di DNA che codifica per colore di pelle e occhi e dei capelli, ha piano piano rivelato i suoi segreti restituendoci un'immagine del nostro antenato con pelle e occhi chiari, caratteri associati ai capelli rossi.

    Così dalla profondità dei tempi preistorici è riapparsa l'immagine dell'Uomo di Neanderthal che popolava le grotte delle colline e della montagna veronese.

    Apparentemente si era trovato piuttosto bene nel rifugio offerto dai Lessini le cui valli, esposte a sud, assicuravano un lungo irraggiamento solare anche in quel periodo climaticamente piuttosto freddo che risale all'ultima glaciazione, durante la quale a intervalli estremamente rigidi si succedevano fasi un po' più temperate.

    Oltre a questo il territorio veronese offriva anche la ricchezza in grotte e ripari, rese disponibili dall'intensa azione carsica che ha interessato milioni di anni fa il substrato calcareo delle nostre montagne, l'abbondanza di acqua e ampi territori per la caccia agli ungulati e, non ultima per importanza, la estrema facilità di trovare la selce, quella roccia che percossa con martelli in legno o roccia da lame e schegge taglienti con cui macellare e trattare le carcasse degli animali.

    Insomma una specie di "buen ritiro" della preistoria dove i neanderthaliani amavano svernare. I siti con evidenze della presenza neanderthaliana nel territorio – Grotta di S. Cristina, Riparo Fumane e Riparo Tagliente, solo per citare quelli in cui gli scavi sono attivi - ammontano ad alcune decine ma solo il Riparo Mezzena, nel vajo Gallina presso Avesa ha dato resti fossili umani.

    E' chiaro quindi che il fuoco dell'attività investigativa si sia concentrato su un tale tesoro.

    L'attenzione della alta ricerca internazionale è molto attiva sul fronte di questi nostri antenati tanto che assieme all'articolo sul fossile veronese ne sono stati selezionati altri cinque.

    L'articolo di Tanya Smith e colleghi tratta di un aspetto comparativo della crescita e della più rapida maturazione dei neandertaliani rispetto all'uomo anatomicamente moderno quindi rinforza l'ipotesi della separazione specifica in antico tra neanderthal e sapiens.

    A tenere viva la discussione sul fatto che i neanderthaliani siano effettivamente nostri cugini o nostri fratelli ci pensa la ricerca coordinata da altri genetisti del Max Planck Institute di Liepzig (Germania), il cui responsabile è Svante Paabo.

    Il loro articolo pubblicato su Current Biology in novembre, propone che Neanderthal e uomo moderno abbiano le stesse due mutazioni nel gene FOXP 2, il gene coinvolto nello sviluppo del linguaggio – e questa coesistenza potrebbe rappresentare una freccia all'arco dei sostenitori del meticciamento tra neanderthal e sapiens.

    Ma la questione è talmente hot che un'altra delle ricerche citate nel Breakthrough of the Year 2007, quella coordinata a David Reich dell'Harvard Medical School, USA, che sulla base di studi del cromosoma Y di un neanderthaliano africano e di uno europeo, sostiene che non si può ricorrere a nessuna possibilità di incrocio tra neanderthal e sapiens.

    A supporto dell'impossibilità di incrocio nuove ricerche su siti e fossili di neanderthaliani retrodatano la scissione specifica tra loro e la specie sapiens da 200.000 a circa 800.000 anni fa e dimostrano che l'areale in cui è possibile incontrare il neanderthal è molto più esteso.

    Infatti gli scavi nelle grotte del paleolitico medio della Regione di Altai, in Siberia, hanno dimostrato quanto gli archeologi sospettavano da tempo: l'uomo di neanderthal ha colonizzato anche i territori verso est raggiungendo le steppe della lontanissima Siberia.

    Il mistero quindi della presenza di geni che manifestano - sia nel nostro antenato che nei sapiens moderni - caratteri analoghi (le variazioni del colore di pelle e occhi e dei capelli o la capacità di parlare) rimane molto fitto e non c'è da stupirsi se il proseguimento di queste ricerche è già stato indicato come un buon candidato per essere breakthrough anche del 2008.

    "Si tratta dei primi passi che ci potranno portare, in futuro, a identificare tutta una serie di caratteristiche somatiche dei neanderthal e a stabilire inoltre quali sono quelle uniche della nostra specie. Le ricerche su questa fase delle evoluzione umana (e sulle fasi più antiche) sono senza dubbio tra le più affascinanti per capire come, quando e in che tempi si è originato il nostro genere Homo e la nostra specie Homo sapiens"dice David Caramelli decisamente soddisfatto del successo ottenuto a soli 38 anni.

    Già l'anno scorso la notizia apparsa su Current Biology che lo stesso gruppo di ricerca italiano aveva pubblicato dimostrando l'alta variabilità tra noi uomini moderni e i nostri cugini antenati era stato buon prodromo agli eccellenti risultati che hanno coronato il successo 2007.

    Se deve essere un auspicio ci auguriamo che gli aruspici per l'anno appena iniziato siano con il fossile veronese e con gli italiani che stanno lavorando a così alto livello.

    L'ultimo degli articoli incluso nel prestigiosissimo elenco – lo studio del DNA estratto dai peli di Mammuth conservati nei Musei della Siberia - ci da lo spunto per una profonda riflessione tutta italiana.

    I reperti che hanno permesso a David Caramelli, Laura Longo e Silvana Condemi di raggiungere questo risultato unico nella carriera di uno scienziato, vengono dalle collezioni del Museo di Storia Naturale di Verona.

    Se fossimo negli USA un risultato del genere significherebbe una montagna di soldi per la ricerca e grandi riconoscimenti per le istituzioni coinvolte, ma per l'appunto non siamo in America e l'unica cosa che ci resta da sperare è che al Museo di Storia Naturale più antico del mondo e alle sue importantissime collezioni sia dedicata, anche in patria, l'attenzione e la cura che meritano.

    Attenzione che il mondo scientifico internazionale gli ha già assicurato.

    Con questi risultati le collezioni della sezione di Preistoria sono già entrate nella storia della scienza e ci resteranno per sempre.

    Il Museo e le sue collezioni invece sono in cerca di casa, cerchiamo di dargliene una dignitosa, almeno al pari dell'importanza che ha svolto e continua a svolgere nella storia della scienza e della nostra città.

    Bibliografia

    Carles Lalueza-Fox et al., A Melanocortin 1 Receptor Allele Suggests Varying Pigmentation Among Neanderthals. Science 30 November 2007: Vol. 318. no. 5855, pp. 1453 - 1455

    Sitografia:

    Museo Civico di Storia Naturale di Verona www.museostorianaturaleverona.it

    Davide Caramelli - Personal Page www.unifi.it/dbalan/CMpro-v-p-47.html

    Silvana Condemi - Personal Page www.anthropologie-biologique.cnrs.fr/recherche/Fiche_Synthetique_Photo.php?id=4

    Nina G. Jablonski - Personal Page www.anthro.psu.edu/Labs/JablonskiLab/index.shtml

    David Reich - Personal Page http://genepath.med.harvard.edu/%7Ereich/

    The Pennsylvania State University www.psu.edu

    The University of Queensland www.uq.edu.au

    IMB-Institute for Molecular Bioscience - The University of Queensland www.imb.uq.edu.au/index.html

    Genetic Department - Harvard Medical School http://genetics.med.harvard.edu/labs.htm

    UMR 6578 Anthropologie Biologique - CNRS Centre National De La Recherche Scientifique www.anthropologie-biologique.cnrs.fr/recherche/