Colloidi e laser: una lente d'ingrandimento sul nanoattrito


    Autori: Nicola ManiniErio TosattiAndrea Vanossi

    Sommario: la capacità di comprendere, e magari controllare, gli sfaccettati meccanismi dell’attrito a livello atomico rappresenta da molto tempo un problema scientifico aperto, la cui soluzione è resa urgente dall’esplosione delle nanotecnologie e dalla corsa verso la miniaturizzazione dei congegni hi-tech a componenti mobili. Tale comprensione si scontra tuttavia con la natura complessa dei processi e dei sistemi da investigare, caratterizzati da dinamiche nascoste che avvengono nell’intimo contatto fra materiali in moto relativo. Esperimenti con miscele colloidali balzano alla ribalta di questo campo di ricerca, consentendo per la prima volta di visualizzare l'attrito al microscopio.

     

    In talune condizioni favorevoli è possibile comprendere alcuni aspetti dell'attrito sulla base di semplici analogie o modelli. Ad esempio, si può intuire che cosa succede quando l'attrito si produce tra due superfici identiche di cristalli, rappresentandole con due pettini piazzati come nella figura 1.

    Figura 1. I denti dei due pettini rappresentano gli atomi della superficie.
    Figura 1. I denti dei due pettini rappresentano gli atomi della superficie. Chiaramente i denti (fig.1), che rappresentano gli atomi della superficie, si incastrano perfettamente, producendo un attrito enorme. Che succede invece quando le superfici sono diverse? Se la spaziatura tra gli atomi di una superficie è doppia rispetto all'altra (strappiamo via metà denti a un pettine), le cose non vanno meglio, come illustrato nella figura 2.


     

    Figura 2. Anche con una spaziatura doppia tra gli atomi di una superficie l'attrito che si produce è ancora molto elevato.
    Figura 2. Anche con una spaziatura doppia tra gli atomi di una superficie l'attrito che si produce è ancora molto elevato. Da questi modelli (fig.1 e fig.2) ci rendiamo conto che superfici commensurate, cioè con rapporti interi tra le spaziature atomiche, si incastrano producendo un grande attrito. Se invece le spaziature sono incommensurate, come si ottengono con due pettini diversi presi a casaccio, la situazione è ben diversa (fig.3)!


     

    Figura 3. Con spaziature diverse tra gli atomi l'attrito che si produce è molto basso.

    Figura 3. Con spaziature diverse tra gli atomi l'attrito che si produce è molto basso.

    Come mostra la figura 3, con spaziature diverse difficilmente si realizza un incastro. L'attrito risulta quindi fortemente ridotto. Esaminando meglio la figura sopra, ci rendiamo conto che l'incastro stenta a realizzarsi a causa di alcuni denti che vanno a scontrarsi "testa a testa". Se applichiamo una pressione sul pettine superiore, i denti più morbidi possono piegarsi, generando un incastro, comunque meno efficace della situazione commensurata. Dal modello a pettini scopriamo prima di tutto che superfici incommensurate normalmente generano meno attrito, e poi che l'elasticità delle superfici aumenta l'attrito anche di superfici incommensurate.

    Superfici più rigide dovrebbero quindi scivolare meglio. Tutti questi risultati sono stati studiati approfonditamente mediante il modello di Frenkel-Kontorova [1], in cui il pettine inferiore, statico, è rimpiazzato da una sinusoide, e quello superiore da una catena di masse puntiformi collegate tra loro da molle. La previsione forse più importante ottenuta tramite quel modello è che c'è una pressione minima da applicare al pettine superiore affinché s'incastri con quello inferiore quando è incommensurato.

    Al di sotto di questa pressione minima, non si ha incastro e l'attrito praticamente scompare, come dimostrato da Aubry [2] negli anni 1980. Naturalmente, il contatto di superfici di veri solidi tridimensionali è più ricco e complesso di come semplici modelli "a pettine" permettono di capire, ed è qui che i colloidi entrano in gioco. I colloidi sono particolari miscele eterogenee che fanno parte della nostra quotidianità - sono colloidi il latte, la maionese, l’asfalto, il fumo – e che si differenziano a seconda dello stato della sostanza dispersa e di quella disperdente (possono quindi essere allo stato liquido, solido o gassoso).

    Ricercatori tedeschi [3] hanno costruito uno strato piatto di particelle colloidali repulsive. Questo strato prende il posto del pettine superiore, ed è naturalmente flessibile, visto che i colloidi si lasciano avvicinare ed allontanare. Viene aggiunto un fascio di luce laser modulata “a macchiette”, ottenute con un pattern di interferenza. Questa griglia o “reticolo” di luce produce su ciascuna particella colloidale una debole forza che la attira come una falena dove questa luce è più intensa, allontanandole dalle zone oscure: questo reticolo di luce di fatto fornisce il "pettine inferiore" pronto a incastrare i colloidi. È un reticolo perfettamente rigido (i colloidi non sono in grado di "piegare" la luce), ma anche facilmente regolabile in spaziatura, muovendo il fascio laser.

    Le proprietà di attrito dei colloidi sono state studiate spingendoli con una forza esterna controllata e verificando se restavano incastrati nelle macchiette di luce laser o riuscivano a muoversi. Il vantaggio di questi esperimenti è che si possono vedere al microscopio i singoli colloidi, cosa invece attualmente irrealizzabile nello studio dell’intimo contatto fra solidi in moto relativo. Studiando i moti di questi sistemi di micro particelle, i ricercatori sono stati in grado di analizzare le forze in gioco con una precisione e un dettaglio mai sperimentati prima.

    Un gruppo italiano [4] ha realizzato simulazioni al computer dei moti dei colloidi, chiarendone meglio il loro significato per lo studio dell'attrito. In particolare, il gruppo italiano ha evidenziato il ruolo degli addensamenti di particelle (gruppi di colloidi o "solitoni", che si formano proprio grazie all'elasticità del reticolo di colloidi) nel supportare lo scivolamento quando le spaziature risultano incommensurate. Un esempio di configurazione di solitoni (in questo caso si tratta di rarefazioni, non addensamenti) nello strato dei colloidi è evidenziato dal colore rosso nella figura 4.


    Figura 4. Rarefazioni di solitoni (vedere il colore rosso) nello strato di colloidi.

    Figura 4. Rarefazioni di solitoni (vedere il colore rosso) nello strato di colloidi. I colloidi che formano i solitoni si “prendono per mano” aiutandosi a vicenda a superare le regioni oscure sfavorite dalla luce laser.

    È questo “trucco” del moto solitonico a consentire uno scivolamento a basso attrito perfino quando per un colloide isolato la forza di trascinamento sarebbe insufficiente a vincere la rugosità del reticolo di luce. I calcoli hanno anche evidenziato che quando i solitoni si trovano molto spaziati tra loro rischiano concretamente di scomparire, con il reticolo colloidale che si "aggiusta" alla spaziatura del reticolo di luce, diventando commensurato e quindi aumentando notevolmente l'attrito, come nel caso di pettini identici.

    Le potenzialità messe in luce da questo studio sono concrete: le superfici di contatto di taluni componenti hi-tech micro e nanotecnologici, già diffusi nell'industria automobilistica e dei cellulari, potrebbero beneficiare di un attrito ridotto delle loro parti mobili. Ciò consentirebbe di migliorare i motori e gli interruttori di dimensioni inferiori al micron, rendendoli più efficienti ed affidabili.

    Scenari possibili:

    Le simulazioni ed i risultati teorici permettono di progettare esperimenti futuri basati su colloidi, con parametri scelti precisamente in modo da mimare realisticamente l'attrito delle superfici dei microcomponenti. Gli esperimenti con i colloidi potranno essere estesi a numeri di particelle molto maggiori di quante se ne possano simulare al computer, fino a riuscire a svelare i dettagli intimi dello strisciamento ad esempio di parti mobili nei congegni nano-elettromeccanici. Come già proposto dai ricercatori tedeschi [3], sarà anche possibile utilizzare i collodi per investigare le ragioni microscopiche del basso attrito delle superfici dei quasicristalli [5]. Queste possibilità, assieme a un fecondo confronto con le simulazioni, pongono alla ribalta gli strati di colloidi come nuovo strumento di indagine, in grado di aprire nuove strade nella complessa e nascosta realtà dei fenomeni di nanoattrito.

    Note e Bibliografia:

    [1] O. M. Braun and Yu. S. Kivshar, The Frenkel-Kontorova Model: Concepts, Methods, and Applications (Springer, Berlin, 2004). http://www.iop.kiev.ua/~obraun/local/bookfk.pdf

    [2] M. Peyrard and S. Aubry, Critical behaviour at the transition by breaking of analyticity in the discrete Frenkel-Kontorova model, J. Phys. C: Solid State Phys. 16, 1593 (1983). http://iopscience.iop.org/0022-3719/16/9/005

    [3] T. Bohlein, J. Mikhael, and C. Bechinger, Observation of kinks and antikinks in colloidal monolayers driven across ordered surfaces, Nature Mater. 11, 126 (2012). http://www.nature.com/nmat/journal/v11/n2/abs/nmat3204.html

    [4] A. Vanossi, N.Manini, and E. Tosatti, Static and dynamic friction in sliding colloidal monolayers, Proc. Natl. Acad. Sci. USA 109, 16429 (2012). http://www.pnas.org/content/109/41/16429.short

    [5] S. Carrà, I quasi cristalli: nuova forma della materia, LSWN (2011). http://lswn.it/chimica/i-quasi-cristalli-nuova-forma-della-materia/

    Sitografia:

    Quasicristallo - Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Quasicristallo