[01/09/2009]
Le 3-brane Olografiche
Facendo capo alla convinzione che "non è una legge quella che è valida in determinate circostanze ed in altre no", bisogna necessariamente convincerci che l'origine stessa dell'universo va compresa su basi scientifiche... potrà anche essere un compito al di sopra delle nostre capacità , ma varrà comunque la pena di tentare" Stephen Hawking
Il determinismo classico funziona bene per i grandi sistemi poiché in media ci sono talmente tante configurazioni probabilistiche possibili che i risultati risultano abbastanza prevedibili.
Quando l'universo è grande non ci sono problemi quindi nell'identificare delle leggi più o meno deterministiche, mentre quando l'universo risulta molto piccolo (nei suoi primissimi istanti di vita ad esempio), vi sono un numero limitato di configurazioni possibili ed in questo contesto il principio di indeterminazione diventa dominante.
Poiché ogni volta che si tira un dado la probabilità si resetta, l'universo non ha una unica storia, ma tutte le storie possibili, seppur con bassa probabilità .
L'ipotesi delle storie multiple (degli universi paralleli) è stata formulata per la prima volta da Richard Feynman e sulla base della quale si è tentato di identificare una teoria unitaria che, seppure non ci dice nulla sul suo stato iniziale, ci permetterebbe di prevedere probabilisticamente l'intera evoluzione dell'universo a partire dagli stati iniziali e dalle sue condizioni al contorno.
Jim Hartle e Stephen Hawking hanno ipotizzato che la regola fondamentale per le condizioni al contorno dell'universo primevo è che non ci siano condizioni al contorno: la condizione al contorno dovrebbe essere l'assenza di confini nello spazio e nel tempo.
Nella fattispecie, se ipotizziamo la presenza di un tempo immaginario, non è affatto detto che nel tempo immaginario l'universo abbia un confine, oppure un inizio o una fine: in pratica il tempo immaginario funzionerebbe come una quarta dimensione spaziale in cui le storie dell'universo in un tale spazio penta-dimensionale risulterebbero essere curve, come la superficie di una sfera o una sella.
Nel caso delle storie dell'universo rappresentate da superfici chiuse, non vi sarebbe necessità di definire delle condizioni al contorno ed inoltre l'universo sarebbe completamente autonomo e non avrebbe bisogno di una scintilla o di un motore esterno per azionare il meccanismo.
Ovviamente nell'ottica delle storie multiple e nell'ottica del principio antropico, il fatto stesso che siamo esseri intelligenti capaci di porci la domanda sulle storie multiple va da se che esclude nella storia attuale tutte quelle storie inadatte alla formazione della vita.
La M-teoria in particolare prevede innumerevoli storie inadatte alla vita (troppo curve, che durano troppo poco, troppo "vuote", ecc...) e solo poche, che si adattano alle limitazioni della possibile formazione della vita.
Se la storia nel tempo immaginario viene rappresentata da una sfera (in 5 dimensioni), essa determinerà una storia nel tempo reale in cui l'universo si espande in ogni punto a ritmo accelerato (fenomeno riscontrato anche nel nostro universo e denominato "inflazione").
La rapida espansione tende ad eliminare le disomogeneità presenti nell'universo iniziale; durante l'espansione l'universo crea materia sottraendo energia dal campo gravitazionale sicché l'energia totale risulta nulla in quanto l'energia della materia (positiva) risulta controbilanciata dall'energia del campo gravitazionale (negativa).
Ovviamente una storia perfettamente sferica continuerebbe ad espandersi inflativamente a ritmo esponenziale per un tempo infinito, mentre a noi interessano delle superfici leggermente rugose ed appiattite ai poli, tali che ad un certo punto della sua storia l'inflazione si arresti e l'espansione si rallenti in modo da permettere la formazione delle galassie.
Tali irregolarità sono state osservate sperimentalmente da Cobe studiando la radiazione cosmica di fondo nelle microonde e sono una parte su 100000.
Il punto fallace di tutta la teoria è venuto alla luce nel momento in cui gli scienziati, di fronte alle evidenze osservative, sono stati costretti a definire una energia del vuoto (opposta alla materia), che tendeva ad accelerare l'universo (come l'inflazione); comunque questa energia del vuoto risulterebbe talmente piccola da essere trascurabile.
Il determinismo classico fu messo in discussione quando S. Hawking dimostrò che i buchi neri non erano poi tanto neri.
Con l'avvento della meccanica quantistica, infatti, tutti i campi devono avere fluttuazioni statistiche, anche il vuoto cosmico deve possedere delle fluttuazioni quantistiche di energia.
Tramite questa energia minima di vuoto si possono comunque formare delle coppie di particelle-antiparticelle, dette virtuali(2), che poi riannichiliscono rilasciando un fotone della stessa energia che le ha create. Se ci si trova vicino all'orizzonte degli eventi di un buco nero una delle particelle può cadervi dentro e l'altra può rimanere libera di sfuggirvi: in questo modo un osservatore lontano vedrà il buco nero irraggiare tale particella dal suo orizzonte.
Sotto questa luce ad un buco nero, essendo un corpo che irradia, può essere associata una temperatura termica caratteristica, che dipende dalle sue dimensioni: un buco nero di alcune masse solari avrebbe una temperatura 10-6°K sopra lo zero assoluto, un buco nero ancora più grande, come quello entro il core di molte galassie, avrebbe una temperatura ancora inferiore; comunque la radiazione termica di un buco nero risulterebbe totalmente sommersa dalla temperatura di fondo cosmica a 2.7°K.
Nel caso di un buco nero microscopico si avrebbe una temperatura decisamente maggiore poiché irradierebbe molto più velocemente.
Questo fenomeno detto comunemente radiazione di Hawking e volgarmente evaporazione dei buchi neri, considera l'equazione di einstein in cui massa=energia (E=mc2) e postula che tutti i buchi neri, prima o poi perderanno massa a spese dell'energia del vuoto.
Man mano che essi perderanno massa il loro tasso di snellimento diventerà sempre maggiore fino a scomparire in un sussulto finale.
Tale fenomeno si può applicare anche all'universo (poiché nei primissimi istanti, l'universo giovane attraversò una fase di espansione inflativa talmente rapida che alcune regioni dello spazio finirono per essere talmente lontane che la luce da li proveniente non ha ancora fatto in tempo a giungere fino a noi) in questo contesto si formò un orizzonte degli eventi, come quello di un buco nero, che separa le regioni di universo causalmente connesse da quelle non connesse.
Un siffatto orizzonte, come quello di un buco nero, deve quindi presentare uno spettro di corpo nero con annesse fluttuazioni quantistiche di densità (fenomeno già osservato da Cobe, come già detto poc'anzi).
Tornando al buco nero ed al suo orizzonte, si pensa che una coppia di particelle virtuali, di cui una finisca nell'orizzonte del buco nero, possa permettere di predire la funzione d'onda al di là di quella rimasta fuori dall'orizzonte degli eventi.
In un certo senso se due particelle vengono create da un fotone, avranno spin opposti; se misuro lo spin di una delle due (per esempio quella che cade entro il buco nero) conoscerò all'istante lo spin di quella fuori e misurando la posizione della seconda infrangerei il principio di indeterminazione di Eisenberg, ma in realtà ciò non accade perché non si può fare una misurazione precisa se una parte della funzione d'onda va perduta dentro l'orizzonte del buco nero.
Questo fenomeno viene chiamato Entaglement e affligge gli scienziati da quando Einstein postulò i suoi esercizi mentali.
Un passo avanti nella teoria si ebbe con Andrew Strominger nel 1996 il quale considerò un buco nero come formato dalle intersezioni delle p-brane.
Se delle particelle colpiscono le p-brane vi eccitano delle onde supplementari; quando due o più onde si muovono in direzioni opposte esse si sovrappongono e fanno interferenza, quindi producono un picco che si stacca dalla brana e rappresenta una particella emessa dalle p-brane: in questo modo le p-brane assorbono ed emettono particelle come i buchi neri.
In questo modo si può dimostrare che il numero di onde sulle p-brane è pari alla quantità di informazione che dovrebbe contenere il buco nero.
In questo modello la differenza sostanziale è che le informazioni di quello che cade nel buco nero rimangono comunque immagazzinate nella funzione d'onda relativa alle onde sulle p-brane e di fatto non vengono perse nell'orizzonte del buco nero come nella fisica classica.
In pratica il modello più accreditato attesta che la materia e le forze non gravitazionali, come quella elettromagnetica, risulterebbero confinate nella brana a cui appartiene il nostro universo, quindi tutto quello non connesso con la gravità risulterebbe di fatto confinato entro le 4 dimensioni spazio-temporali come osserviamo appunto in laboratorio.
Un chiaro esempio di applicazione del principio antropico (perché se così non fosse gli atomi non sarebbero stabili e di conseguenza noi non potremmo essere qui ad osservare che gli atomi sono stabili).
La forza gravitazionale invece si dipanerebbe nelle altre dimensioni, anzi si manifesterebbe proprio come curvatura dello spazio entro il quale risiede la brana; propagandosi nelle dimensioni extra la gravità risulterebbe diluita e scalerebbe più rapidamente con la distanza di quanto previsto in 4 dimensioni.
Purtroppo una tale diminuzione maggiorata della forza di gravità non viene osservata a distanze cosmologiche (altrimenti vedremmo i pianeti percorrere delle orbite instabili). Per porre rimedio a questa evidenza osservativa si è supposto che le dimensioni extra finiscano su una altra brana non troppo lontana da quella su cui viviamo.
In questo modo a distanze superiori a quella esistente tra le due brane la gravità non riuscirebbe ad agire liberamente, ma, come la forza elettrica risulterebbe intrappolata nella brana e diminuirebbe alla velocità necessaria per mantenere le orbite stabili.
A distanze inferiori di quella esistente tra le due brane invece la gravità potrebbe agire liberamente e varierebbe quindi più velocemente.
Ad oggi gli esperimenti condotti hanno verificato l'andamento della gravità classica fino a distanze di qualche millimetro!

Immagine - 5 - La brana ombra che produce un effetto di gravità oscura sulla brana normale.
Secondo questa teoria vivremmo su una brana ed avremmo accanto un'altra brana “ombra†. Poiché come detto prima la luce e tutte le altre interazioni fondamentali diverse dalla gravità , risulterebbero confinate sulle brane, noi non riusciremmo a percepire la brana ombra, ma potremmo sentire la sua influenza gravitazionale originata dalla sua materia.
In questo contesto nella nostra brana tali forze gravitazionali risulterebbero di fatto prodotte da corpi totalmente oscuri; una particolarità molto intrigante se si considerano le curve di rotazione delle galassie, le quali mostrano chiaramente che la materia ivi contenuta è molto più di quella effettivamente visibile.
Una alternativa più realistica della brana ombra è stata ipotizzata da Lisa Randall e Raman Sudrum, i quali hanno proposto che queste dimensioni extra invece di finire su una seconda brana ombra, potrebbero essere spazialmente infinite, ma fortemente curve (come la superficie di una sella).
Una tale curvatura si comporterebbe come una seconda brana che intrappolerebbe la gravità nelle strette vicinanze della brana in cui si produce e replicherebbe l'andamento classico a grandi distanze.

Immagine - 6 - Geometria a "sella" di una brana nelle 5 dimensioni.
La differenza sostanziale tra i due modelli emerge quando un corpo si muove sotto l'influenza gravitazionale: in questo caso esso dovrebbe irraggiare energia sotto forma di onde gravitazionali.
Le onde gravitazionali per definizione trasportano energia(dalla variazione del periodo di rotazione della pulsar binaria PSR1923+16 , l'esistenza delle onde gravitazioni sembrerebbe confermata indirettamente).
Nella fattispecie ogni corpo, che si muove su una brana fortemente curva, perderebbe energia sotto forma di onde gravitazionali, le quali, nel caso della presenza di una seconda brana rimarrebbero intrappolate tra le due brane, mentre, in caso di assenza della brana ombra, si propagherebbero all'infinito sottraendo energia alla nostra brana.
Se due stelle orbitano attorno al comune centro di gravità produrrebbero delle onde gravitazionali aventi lunghezza d'onda molto maggiore del raggio di curvatura della brana-sella e quindi resterebbero confinate nelle immediate vicinanze della brana, senza propagarsi molto nelle dimensioni extra; quando invece le onde gravitazionali sono prodotte dai buchi neri, esse avrebbero una lunghezza d'onda assai più corta e le onde gravitazionali potrebbero sfuggire all'intrappolamento gravitazionale, propagandosi nelle dimensioni extra.
Un buco nero grande che irraggia tramite radiazione di Hawking tenderebbe quindi a perdere massa (sulla brana a cui appartiene) fino a diventare più piccolo del raggio di curvatura delle dimensioni extra a sella ed a quel punto le onde gravitazionali riuscirebbero a sfuggire dalla brana di origine e l'esplosione finale della radiazione (di un buco nero in via di estinzione) apparirebbe perciò meno potente di quella, che si avrebbe in uno spazio a 4-dimensioni.
(segue Conclusioni ->)