La malattia celiaca non è tipica solo dei paesi più industrializzati


    Quando è nata la celiachia? Perché e dove è più diffusa? Come si spiega l'elevato tasso di celiachia del popolo Saharawi? Chiarimenti dal professor Carlo Catassi associato di Pediatria Generale e Specialistica presso la Clinica Pediatrica dell'Università Politecnica delle Marche di Ancona e Co-Director del Center For Celiac Research University of Maryland Baltimore, MD, USA.

    È difficile stabilire con esattezza quando si è affermata la malattia celiaca, è una patologia conosciuta fin dall'antichità come testimoniano gli studi di paleoepidemiologia, studi di stima della frequenza della malattia nel passato e dei fattori che la determinano.

    L'intolleranza al glutine è il risultato di una predisposizione genetica e di fattori di pressione ambientale ovvero l'incidenza di celiachia aumenta quando cresce il consumo di glutine nella popolazione e quando si accorcia il periodo di allattamento al seno e si introduce precocemente il glutine nella dieta del neonato.

    Probabilmente i primi casi di celiachia si sono verificati nella civiltà greco-romana quando è iniziata la coltivazione intensiva dei cereali e si può supporre che la malattia si sia sviluppata a causa di un improvviso consumo di cereali in popolazioni non abituate.

    In realtà la coltivazione dei cereali è iniziata già 10000 anni fa nella zona della mezzaluna fertile, ma in questa zona si coltivavano cereali poveri dei peptidi in grado di scatenare il morbo celiaco, proteine largamente distribuite nei cereali coltivati da greci e romani.

    Il medico greco Areteo di Cappadocia, infatti, vissuto fra il I e il II secolo d. C. è il primo a parlare di "diatesi celiaca" descrivendo pazienti affetti da steatorrea, pallore e cronica perdita di peso.

    Nel corso dei secoli il frumento ha perso progressivamente la sua importanza soppiantato, in parte, dalla coltivazione di cereali quali l'avena, l'orzo, la segale, il miglio e il farro, ma è tornato in auge durante il Medioevo.

    Con la scoperta dell'America e l'arrivo in Europa di nuove coltivazioni, ancora una volta la coltivazione del frumento subisce una battuta d'arresto che perdura fino agli inizi del 1800.

    Nel 1600-1700, però, soprattutto nel nord Europa, a causa dell'elevato tasso di abbandono infantile già dopo le prime settimane di vita si alimentavano i neonati con pancotti di cereali e questo trend si è mantenuto fino agli inizi del 1900.

    Con l'avvento dell'industrializzazione, poi, la situazione è peggiorata perché le donne dovevano tornare a lavorare nelle fabbriche e non avevano il tempo materiale per allattare perciò svezzavano i loro figli molto precocemente.

    Durante i primi decenni del 1900 la coltivazione del frumento ha surclassato tutte le altre coltivazioni diffuse nelle epoche precedenti: negli ultimi 40 anni il consumo di glutine è rimasto pressappoco lo stesso, mentre si è accorciato sensibilmente il periodo di allattamento al seno; probabilmente la somma di tutti questi fattori ha incrementato la frequenza delle patologie autoimmuni forse anche perché le difese immunitarie non essendo più chiamate a fronteggiare gravi infezioni, grazie al buon tenore di vita, risultano sbilanciate e quindi più suscettibili alle malattie di tipo allergico.

    Alla luce di quanto questi studi paleoepidemiologici ci suggeriscono è singolare riscontrare come il popolo Saharawi, 200000 persone che da alcuni decenni vivono come sfollati in Algeria, dopo che il Marocco ha occupato il loro Stato il Sahara occidentale abbia un'incidenza di celiachia molto elevata, forse una delle più alte al mondo: ben il 6% della popolazione è malata.

    Come è possibile? Ne chiediamo spiegazione al professor Carlo Catassi Associato di Pediatria Generale e Specialistica presso la Clinica Pediatrica dell'Università Politecnica delle Marche di Ancona e Co-Director del Center For Celiac Research University of Maryland Baltimore, MD, USA.

    D: Come è possibile che il popolo Saharawi mostri un'incidenza di celiachia così marcata?

    R: Un tasso di celiachia come quello riscontrato nel popolo Saharawi è sicuramente imputabile ad una predisposizione genetica: è una popolazione molto omogenea ha cioè un pedigreegenetico piuttosto esclusivo.

    Il loro sfollamento in Algeria, la condizione di profughi e la loro sussistenza affidata agli aiuti umanitari ha determinato un improvviso carico di glutine in gente che non era avvezza al consumo di cereali: questo evento ha indotto una mutazione genetica che si è "accesa" in una larga fetta della popolazione. Sono comunque in corso studi per approfondire e chiarire al meglio la questione.

    D: Se la celiachia di questo popolo è dovuta in buona parte all'improvviso carico di glutine arrivato con gli aiuti umanitari, in giornate come quelle della "colletta alimentare" quali sono gli alimenti più giusti da raccogliere al fine di limitare la diffusione della celiachia?

    R: Non è detto che tutte le persone poco abituate a consumare glutine con l'introduzione di glutine, anche se in maniera massiccia e improvvisa, si ammalino di celiachia; semmai il problema è far arrivare cibo senza glutine al popolo Saharawi. Le persone malate hanno spesso difficoltà a reperire cibo gluten free e devono consumare quello con glutine con tutti i problemi e il corteo sintomatologico conseguente.

    D: Qualche mese fa uno studio condotto da ricercatori dell'Università Federico II di Napoli, dell'Ospedale Moscati di Avellino e dell'Istituto Telethon dell'ospedale S. Raffaele di Milano hanno chiarito il ruolo dell'Il-10 nell'intestino celiaco che esplica un'attività inibitoria verso i linfociti patogenetici che danneggiano la mucosa intestinale e anche gli altri tessuti prospettando la possibilità di affrontare, un giorno, la celiaca con un farmaco anziché con una dieta gluten free. Lei cosa ne pensa?

    R: Questo studio dimostra quanto impegno metta la ricerca nel chiarire i meccanismi della celiachia, una patologia estremamente complessa.

    Forse un giorno questo studio, come molti altri che si stanno realizzando, contribuiranno alla messa a punto di un farmaco o di un vaccino, ma sicuramente questo studio non avrà una ripercussione pratica a breve scadenza. Almeno nell'immediato non credo si possa affrontare la celiachia se non con una dieta senza glutine.

    Bibliografia:

    Fasano A. Catassi C. current approaches to diagnosis and treatment of celiac disease: an evoling spectrum. Gastroenterology 2001; 120:636-51;

    Gatti S, Catassi C. La malattia dell'intolleranza al glutine: un viaggio nel tempo . Istituto di scienze materno infantili Università politecnica delle Marche;

    Sitografia:

    AIC - Associazione Italiana Celiachia www.celiachia.it

    LSWN - Dall'interleuchina 10 una speranza per i celiaci www.lswn.it/comunicati/stampa/2006/dall_interleuchina_10_una_speranza_per_i_celiaci

    LSWN - Nuove prospettive per la celiachia www.lswn.it/nutrizione/articoli/nuove_prospettive_per_la_celiachia

    Università  Federico II di Napoli www.unina.it

    Center for Celiac Research - University of Maryland, Baltimore www.celiaccenter.org

    Università  politecnica delle Marche <a href="http://www.unian.it/" target"_blank">www.unian.it

    Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica(HSR-TIGET)
    www.sanraffaele.org