Le piante non possono proteggerci dal cambiamento climatico


    Le piante sono uno degli ultimi baluardi contro il cambiamento climatico. Esse si nutrono di anidride carbonica, crescono più velocemente e, fortunatamente, assorbono più gas serra di quelli prodotti dagli esseri umani. Tuttavia, secondo un nuovo studio, la quantità limitata delle sostanze di cui si nutrono le piante potrebbe frenarne la crescita e condurre il nostro pianeta ad un maggior riscaldamento globale. Alcuni modelli climatici avevano previsto un simile riscaldamento globale entro il 2100.

    Immagine - L'assorbimento del carbonio da parte delle foreste pluviali sarà strettamente legato a come il clima reagirà alle emissioni umane. Foresta pluviale australiana. Credits: Adz CC-BY-SA-3.0, via Wikimedia Commons.

    Le piante hanno bisogno di diversi nutrienti per crescere, come l'azoto e il fosforo. Gli agricoltori aumentano la quantità di azoto nel terreno utilizzando fertilizzanti azotati ma, in natura, le piante devono trovare le proprie fonti di nutrienti. Quantità aggiuntive di azoto provengono dall'aria ma per la maggior parte si tratta di azoto gassoso. Le piante non sono in grado di utilizzare direttamente l’azoto atmosferico, quindi per poterlo fissare si affidano ai batteri del suolo. Alcune piante, soprattutto le leguminose, ospitano i batteri azotofissatori nei noduli radicali. Quantità aggiuntive di fosforo invece derivano dalla degradazione meteorica delle rocce (il processo di trasformazione delle rocce sulla superficie terrestre attraverso il contatto diretto o indiretto con l’atmosfera).

    Eppure questi due nutrienti chiave vengono scarsamente rappresentati nei modelli climatici. Solo in due degli 11 modelli utilizzati per prevedere il futuro riscaldamento globale nel rapporto più recente dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, IPCC) vengono considerati gli effetti della quantità limitata di azoto sulla crescita delle piante; nessun modello considera il fosforo, anche se uno studio pubblicato nel 2014 nella rivista Geophysical Research Letters ha fatto notare tali omissioni.

    Così il dott. William Wieder biogeochimico del National Center for Atmospheric Research, Colorado e i suoi colleghi hanno osservato le proiezioni per lo sviluppo delle nuove piante nei vari modelli e hanno valutato le quantità aggiuntive necessarie di azoto e fosforo affiché queste proiezioni possano essere soddisfatte. I ricercatori hanno quindi stimato quanto fosforo e azoto supplementari sono effettivamente disponibili da fonti naturali e hanno calcolato che tali fonti non sono sufficienti, di conseguenza sarà necessario rivedere i modelli climatici.

    Tenendo conto della disponibilità di azoto e fosforo i ricercatori prevedono una media annuale di immagazzinamento del carbonio globale entro il 25% rispetto alle cifre dell'IPCC. I risultati sono stati pubblicati in un articolo su Nature Geoscience. Una tale drammatica riduzione potrebbe invertire il processo che ha visto fino ad ora la terra intrappolare il carbonio globale. Entro il 2100 infatti il carbonio potrebbe essere reimmesso in circolo facendo aumentare ancora di più la temperatura terrestre. Questo potrebbe voler dire che la Terra si riscalderà ancora di più amplificando ulteriormente il riscaldamento indotto dall'uomo, invece di rallentarlo.

    Fortunatamente, ci sono diverse incognite. Ad esempio, i batteri presenti nel suolo rilasciano azoto e fosforo nel momento in cui metabolizzano le piante morte; questi microbi potrebbero quindi aumentare le quantità disponibili di azoto e fosforo. “L’articolo pubblicato è molto importante perché i ricercatori hanno esaminato i vari modelli e i diversi fattori che possano influenzare in futuro la crescita delle piante” scrive Chris Field direttore del Carnegie Institution for Science di Palo Alto, California. Un altro ricercatore, il biogeochimico Eric Davidson del Centro per le Scienze ambientali dell’università del Maryland, invece scrive che “sarà necessario per i ricercatori lavorare di più sul campo per vedere in che modo le sostanze nutritive incidono sulla crescita delle foreste. Sarà difficile e costoso ma è l’unico modo per ottenere i parametri migliori per questi modelli”.